di Lisa Nguh

Nel mondo tra i mondi esisteva una nave. Era una normalissima nave da crociera; i mari ed i cieli che solcava erano, e sono tuttora, sconosciuti all’umanità: acque viola e colme di tulipani che, rossi come il sangue fresco e neri come il carbone, nel corso di un secondo sbocciavano e morivano. Un cielo blu scuro, dove farfalle decoravano ed illuminavano l’eterna notte e fili color oro scorrevano come fiumi.
In questa nave abitavano persone senza memoria che non possedevano un passato e non speravano in un futuro: Nalu era tra questi, eppure era completamente diverso da loro. Gli altri erano rassegnati alla mancanza di un passato e non desideravano alcun futuro oltre quella nave, che per loro rappresentava un universo nella sua piccolezza, anzi, dubitavano persino dell’esistenza di un futuro. Nalu non voleva essere come loro, desiderava riavere i suoi ricordi ed era spaventato dalla loro assenza; provava ad aggrapparsi ad ogni evento che gli faceva anche solo sfiorare la sua vita di prima, era infatti certo che la loro vita non fosse iniziata su quella nave ed era pronto a dimostrarlo ad ogni costo.
Pensava a questo mentre entrava nella stanza; era sicuro che quella non fosse come tutte le altre stanze della crociera: sembrava quasi spostarsi per essere sempre nel suo campo visivo. Si sentiva quasi fissato dalla maniglia.
Una volta entrato, capì che era una comunissima stanza: un letto, una scrivania con un quaderno appoggiato sopra, uno specchio ed un armadio. Si avvicinò alla scrivania e aprì il quaderno. Trovò delle foto incollate sopra ogni pagina, in un infantile tentativo di creare un album  sfociato invece in un risultato inquietante: ogni foto raffigurava un uomo, tuttavia il volto di questo non era stato messo a fuoco, infatti i colori si mescolavano creando un vertice informe sulla testa, mentre dei disegni accanto ad ogni foto, chiaramente opera di un bambino, rappresentavano un omino stilizzato, ma dal volto stranamente accurato, che cercava di terrorizzare lo spettatore.
Nalu lo trovava ripugnante.
Fissare quelle immagini gli aveva risvegliato sin dal primo istante una sensazione di disgusto e di paura, ma erano sensazioni stranamente familiari, come se li avesse vissuti in prima persona.
L’ultima pagina del quaderno era la più spaventosa, ed era la sua familiarità che lo spaventava: era un disegno veramente realistico. Si poteva osservare ogni singolo particolare di un cadavere a cui era stato aperto il ventre e strappata la faccia,  le ossa del viso insanguinate e gli occhi marroni attaccati alla scatola cranica.
Le due cose che lo spaventavano di più non erano i particolari, come il capelli strappati dalla cute o le unghie delle dita rimosse, ma il fatto che era stato tutto colorato con i pastelli che si trovano negli asili e che l’immagine lo rallegrava.Sentiva che la morte dolorosa di quel tizio era un suo desiderio, espresso tanto tempo prima, che mai aveva trovato la via per realizzarsi: sapeva nell’animo che quell’ uomo era morto in maniera pacifica, da vecchio, e creduto una brava persona da tutti colororo che si erano lasciati ingannare
Ma era una bugia.
Non era una brava persona.
Non meritava di morire in maniera così indolore.
Lo odiava.
Alzò lo sguardo dal quaderno e lo richiuse lentamente, giurando mentalmente di non aprirlo mai più, per nessuna ragione.
Lanciò un’occhiata allo specchio, ma non lo ritrovò nella posizione di prima: sembrava quasi essersi staccato dalla parete per trovarsi faccia a faccia con Nalu, e ora incombeva su di lui.
Eppure non era quello che lo spaventava: l’immagine che rifletteva e derideva la sua espressione spaventata era dello stesso uomo dell’album.
Lui non era quell’uomo, ma sentiva che era scritto nel suo sangue ed inciso nelle sue vene:  poteva diventare quell’uomo, era parte di lui e non poteva rimuoverlo.
Il suo futuro unico ed immutabile era questo: essere un uomo crudele odiato dala sua famiglia, che non riesce a rimuovere quell’odio, sebbene nemmeno ricordi il padre o la sua voce.
Non lo voleva.
Non voleva nè il suo passato, nè il suo futuro.
Odiava il suo passato ed il suo futuro era spaventoso ed incombente.
Corse via da quella stanza e sbatté con forza la porta, appoggiandosi su di essa: non avrebbe fatto uscire i suoi demoni da là.
Ormai sul ponte della nave, si distese a terra e iniziò ad osservare le farfalle che svolazzavano nel cielo: le due ali erano a loro volta divise in due, e la prima metà dell’ala a destra era nera, tranne per un cerchio rosso in alto e vari punti bianchi. Qualcosa gli diceva che fossero un cielo e una luna rossa. Ogni parte dalla farfalla gli ricordava qualcosa di un mondo che sentiva di aver abitato e vissuto.
La farfalla si posò accanto alla sua testa con leggerezza e Nalu non potè evitare di chiedersi quanto fosse bello non essere curiosi, o non sapere: ora aveva paura di un futuro e voleva pensare che questo non esistesse, ma crescere era inevitabile.
Diventare come suo padre era inevitabile. O meglio: era possibile, e quella possibilità lo spaventava.
Un grido di orrore interruppe la tranquillità che caratterizzava la nave.
Nalu si alzò e la farfalla si levò in cielo, mentre altre grida simili al primo gli provocarono ansia. Immobile, fissava la direzione da cui provenivano le voci, non riuscendo a muovere un muscolo. Un uomo che aveva già visto varie volte sulla nave corse nella sua direzione e gli intimò di correre: ma Nalu non riusciva a correre, sentiva il peso dell’ansia e della paura e questo gli inchiodava i piedi al terreno. Rapidamente altre persone della nave si riversarono sul ponte, tutti con la stessa espressione terrorizzata e con lo stesso messaggio in volto: “Scappa”.
Una donna comparve nel suo campo visivo, ma non la riconobbe: era anziana e aveva un aspetto malato. In un attimo cadde in terra e il suo corpo si riempì subito di vermi.
Una bestia informe dal colore indefinibile avanzava davanti al cadavere, e qualcosa disse a Nalu che non avrebbe mai interrotto il suo cammino e che tutti avrebbero avuto la stessa fine di quella donna. Stranamente, però, quella bestia lo rassicurava. Allora un’altra consapevolezza si fece strada in lui: quella creatura informe era il futuro, senza alcuna forma e alcuna sfumatura. Era una tela da dipingere.
Tutti i passeggeri sentivano che quello era il futuro: indefinito, inevitabile, assassino.
L’unica certezza era che stava arrivando e nessuno di loro era pronto.
I passeggeri scappavano in ogni direzione, ma Nalu stava immobile a fissare la bestia informe: non aveva paura. Quello non era il futuro che fino a quel momento lo aveva spaventato, era il futuro nella sua forma più pura, cioè una non-forma. Era un futuro da costruire mattone dopo mattone, con fatica, certo, ma sarebbe potuto diventare ogni cosa.
A quel punto si accorse che mentre intorno a lui tutti i passeggeri invecchiavano e diventavano cibo per i vermi, lui iniziava ad incamminarsi verso la bestia, accompagnato da grida e lamenti agonizzanti dei passeggeri.
Una volta arrivato davanti all’essere, nessuno gridava: c’era solo il battere delle ali delle farfalle che si stavano posando sui resti dei passeggeri e le onde del mare disseminato di tulipani.
Il futuro mostruoso lo fissava con le sue orbite che contenevano uno spazio infinito.
“Io voglio vivere e vedere cosa diventerò. Non mi interessa sapere tutto il mio passato, voglio solo il mio futuro.”
Il futuro fece un cenno e quello che gli parve un sorriso.
Nalu aprì gli occhi e si guardò attorno: era seduto a terra, nella camera che gli avevano dato i nonni dopo la morte del suo odiato padre. Accanto a lui c’era il quaderno della stanza e in mano aveva due piccole lame prese dal rasoio che suo nonno non usava più.
Afferrò il quaderno e, con le lame ancora in mano, buttò tutto nell’indifferenziato.
Tornato in camera prese un nuovo quaderno ed in penna scrisse: “Al mio nuovo futuro”.