Melissa Baiutti , 4A
È sera, Marla si versa un calice di vino e mettendo un vinile sul giradischi si spoglia a ritmo di un pezzo blues. Lascia che i vestiti la sfiorino, l’accarezzino e cadano sui fogli del marito sparsi a terra. Quelle carte piene di appunti scritti con cura sono l’unico segno che, di tanto in tanto, il professore sempre impegnato fa ritorno tra le quattro mura che lei chiama casa, e che lui vede come uno studio con troppi mobili. Tra le luci fioche e le note, la donna si stringe allo spirito fugace del marito, lo guida in un lento, sente le sue mani sui fianchi e anche nelle sue fantasie sono fredde e distratte, si lascia scivolare fino in bagno,si guarda allo specchio e suo malgrado non vede il riflesso di due innamorati stretti tra loro. Quello che vede è il risultato dell’assenza: il volto di una donna stanca, sola, dimenticata da troppo tempo e talmente ignorata da sentirsi la polvere addosso.
Con il rubinetto della vasca aperto, all’improvviso, la prendono la malinconia e la generosa voglia di dare l’ultima possibilità a quell’uomo che per dieci anni l’ha sentita senza mai ascoltarla. Digita il numero a memoria, ma il telefono squilla a vuoto, nessuna risposta. È il momento.
Mancano solo due pennellate per finire il quadro macabro di solitudine sulle sue braccia di tela, e le traccia con una dolcezza pacifica. Come l’acqua si colora di un rosso languido e la sua opera romantica si consuma, il pennello metallico le cade dalle mani e tintinna mentre la schiena scheletrica scivola sulla lunghezza della vasca. Sente il caldo abbraccio dell’acqua, le mancava quel calore sulla pelle, non si sente più affogare e finalmente respira.
Qualche ora dopo il marito torna a casa, toglie il vinile dal giradischi e sposta i vestiti della moglie dai suoi appunti, che ripassa mentre cena in silenzio, poi si stende sul divano e con gli occhiali ancora addosso la sua mente stanca si addormenta.
In bagno c’è andato per caso, la mattina successiva, e davanti a tutto quel sangue, tutta quella violenza e tutto quell’orrore, l’unica cosa che il professore riesce a comprendere è il principio di ruggine che si sta formando sulla lametta caduta per terra: vede il ferro, l’acqua, l’ossigeno e la loro naturale reazione, vede elementi, vede ioni, vede elettroni strappati al ferro, ne vede l’ossidazione e la corrosione ma non vede la moglie.
Lui era questo per lei, lui era la ruggine sulla sua pelle, era la sua rovina e non se ne rendeva conto. Viveva la corrosione della donna come un atto naturale, inevitabile, scientifico e quasi giusto: si era attaccato a lei e aveva nascosto la sua bellezza sotto uno strato rossiccio di infelicità e insoddisfazione, l’aveva consumata senza mai tentare di rimediare.
Così, agli occhi di chi non sa guardare, il corpo di chi in vita è stato invisibile come persona, rimane poco più di un aggregato di molecole anche nella morte.
E’ ironico come un’uomo estremamente acuto talvolta diventi cieco davanti al mondo, e lo viva in maniera talmente profonda da saper riconoscere gli atomi ma non i sentimenti, da scordarsi di togliere lo sguardo dal microscopio per avere una visione d’insieme, da applicare quotidianamente il metodo scientifico, ma non saper osservare il malessere e la prevedibilità del gesto della moglie.
Il professore fece le valige la mattina stessa, prese tutti i suoi appunti e se ne andò lontano, alla ricerca di una donna d’oro o d’argento, che non potesse far arrugginire con la sua assenza.
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