di Valentina Segatti

I capelli scuri, scompigliati dal vento, gli incorniciavano il viso pallido, gli occhi blu notte donavano profondità ai lineamenti spigolosi del suo volto. Il naso dritto, gli zigomi marcati, venivano ammorbiditi da un sorriso appena accennato. Indossava dei vestiti troppo larghi per la sua corporatura asciutta, le dita affusolate erano racchiuse in guanti neri come i suoi capelli. Aveva in bocca ancora il sapore di menta e, intrappolato nei vestiti, il profumo di libertà e di bosco gli ricordavano la corsa in bicicletta appena fatta. Neanche lo sforzo era riuscito a  togliergli la sua solita postura svogliata, le spalle rilassate e la testa inclinata.
Il cellulare iniziò a squillare nella sua tasca, lo tirò fuori infastidito e rispose al tono preoccupato della madre con la voce incrinata dal fiatone.
Fuggire era diventato il suo unico modo di reagire alla vita, aveva imparato a correre più veloce del tempo per non rimanerne vittima. Il problema era che ormai si era abituato anche a fuggire da se stesso, si era così convinto di poter schivare i colpi della vita. Purtroppo  le dolci illusioni erano solite diventare amare realtà.
Da cosa stesse scappando ormai non se lo ricordava nemmeno più.
Il tempo che scorre? Le paure che ti paralizzano? Le emozioni che ti soffocano?
Si ricordava soltanto che a un certo punto non gli era più bastato camminare, aveva dovuto iniziare a correre. Non era più sufficiente mettere un piede dopo l’altro guardandosi attorno. Ormai non sapeva nemmeno più cosa lo circondasse, si sentiva di aver perso ogni riferimento: aveva girato così tanto su se stesso che sapeva che se mai si fosse fermato avrebbe perso l’equilibrio. Come un bambino ubriaco di felicità trottola su se stesso, anche lui si sarebbe sbilanciato e sarebbe caduto.
E poi?
Se lo era chiesto più volte: “che male c’è se mi lascio cadere?”. Poi però si era ripetuto che non poteva: continuare a girare era più facile di fermarsi e ricominciare.
Il confronto con la realtà poteva essere rimandato a più avanti, non c’era fretta.
Una cosa che aveva imparato da questo continuo girare è che, nonostante tu stia girando, sarai sempre al punto di partenza, non importa quanto veloce tu possa andare. Non scappi lontano dai problemi, anche se chiudi gli occhi e vai avanti alla cieca.
Perché allora non li affronti questi problemi? Fermati, cadi e ricomincia.
Torna a mettere un piede dietro l’altro, ritorna a trovare il tempo per pensare, ritorna a sentire il vento, ritorna a lasciarti sopraffare dalle emozioni. Apri il rubinetto dei sentimenti e fai pace con le parole. 

La trottola che era diventato si sarebbe fermata prima o poi, ma non oggi.
Prese la bici e ripartì più veloce di prima, sperando che il vento potesse rubargli i pensieri che gli offuscavano la mente.