di Nicolò Tamer
Sono nato alla fine di un anno che ricordiamo per essere il primo del Giro sullo Zoncolan e l’ultimo del Pirata al Giro, il 2003.
Nell’edizione di quest’anno lo Zoncolan torna sul versante con cui il patron friulano, Enzo Cainero, lo ha “inventato”: quello di Sutrio, dopo quasi un ventennio e cinque edizioni in cui i corridori salivano da Ovaro.
Nonostante questa fortuita coincidenza, non ho iniziato a seguire la competizione nel 2003. E non ho recuperato nemmeno tanto presto: infatti ho iniziato a pedalare appoggiando le mani sulle corna di bue soltanto quattro anni fa, prima ancora di appassionarmi a questa gara.
Il Giro, mentre io ero distratto, è passato molte volte in Friuli, toccando l’acqua del Golfo di Trieste, il cielo delle Alpi Carniche e delle Alpi Giulie. È proprio su quest’ultime che ho imparato a scalare, per passare poi alle Prealpi Venete e alle Dolomiti, paesaggi che il Giro è tornato ad ammirare proprio nel 2017, anno in cui ho chiesto a mio padre se era possibile andare da Udine a Lignano in bici. Lui mi rispose di sì. Allora tirammo fuori dalla cantina due Bianchi, il cui Celeste si mischiava con i colori del vecchio sponsor (Mercatone Uno) e partimmo.
Racconto tutto questo per spiegare il motivo per cui mi sono appassionato a questa corsa. Il Giro è ciclismo. Quindi, se pedali, se ami il suono della ruota che gira o delle dita che battono sul telaio in carbonio, oppure delle leve del cambio che si spostano, e se vivi in Italia, in questi territori disegnati per le due ruote, non puoi fare a meno di attendere l’arrivo del rosa, per poter fare il tifo con tutta la tua voce.
Il momento in cui i corridori passano dura un istante, ma ha la forza di fissarsi nei tuoi pensieri tutta la giornata. Il rumore del peloton che vola non lo scordi. Ti addormenti ripensandoci e desideri tornare a respirare quella sensazione. Per questo aspetti il prossimo anno, per questo aspetti così tanto il Giro dopo che lo hai visto.
Aggiungete a tutto ciò il sapore dei primi caldi di Maggio che prendono il posto delle piogge di Aprile. Per un ciclista amatoriale, come me, questo vuol dire che si può iniziare a togliersi qualche strato e rassegnarsi alla abbronzatura con i segni.
Purtroppo però l’anno scorso il Giro ha segnato la fine e non l’inizio di questa bella stagione, sancendo per me anche l’inizio della scuola. Quest’anno si riscatta perché celebra invece la fine della scuola e così potrò finalmente vivere il mio primo Giro tradizionale.
Quindi, se sei un ciclista sei inevitabilmente obbligato ad appassionarti alla gara, ma funziona anche l’incontrario: se segui il Giro e non sei un ciclista, ti appassionerai sicuramente a questo sport. Infatti, quando ho saputo che la corsa passava attraverso le mie zone, sulle strade che ormai a furia di percorrere su due ruote conosco a memoria, mi era venuta voglia di prendere la bici e mettermi a ruota dei professionisti per dimostrare a tutti che quelle strade fossero mie. Vorrei poter alzare le mani al cielo (oppure incrociarle come Van der Poel), tagliando il traguardo sulle strada dove ho iniziato, dove mi sono innamorato di questo sport.
Mi sono perso forse i migliori momenti del Giro d’Italia, quelli che lo hanno reso la competizione che conosciamo oggi. Una competizione che fa curriculum, bramata da tutti i ciclisti. Ma sento molti, soprattutto tra i miei coetanei, che si chiedono se il Giro faccia ancora la storia. Credo che questo sport ci sembri meno seguito rispetto ad una volta soltanto perché i miti che ha forgiato appaiono ormai lontani nel tempo. Ma il numero di amatori è sempre in aumento, tra cui sono compreso anche io, e questa è la prova che il ciclismo fa ancora la storia, la storia di tutti noi a cui piace pedalare.
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