di Elisa Fiore

Credevo di aver dimenticato tutto, qualsiasi sentimento, qualsiasi legame con questa terra. Credevo di poter vedere il mare, ma non le sue sinuose gambe. Eppure eccolo, appena lo scruto di sbiego inizia a parlarmi di una luce abbagliante come se citasse miti e leggende. Io quindi, che quella luce la conservo dentro, penso sia il mare ad aver dimenticato me. Mi ha adagiata su uno scoglio per poi sbarazzarsi del mio corpo con un colpo di coda. 

Io, della luce mitologica che unisce le sue particelle, ho un gomitolo tra le costole

e posso aggrapparmi e incastrarmi tra le sue lenzuola salate quando voglio. 

Perché il mare non lo si dimentica quando già ti è entrato dentro. Potrai guardarlo millemila volte e mai dalla stessa prospettiva, millemila orizzonti su cui posare gli occhi e la penna, mai una delusione! 

Perché il mare non lo perdi, non esiste terra senza mare: stelle colate in una bacinella. Ogni universo conosce questa definizione, ciascuno di essi ha il suo mare. Sia questi il sapore di un’ametista appena estratta o il canto d’ultrasuoni delle sirene o lo specchio di latte munto a mano in un catino. Il mare, che “non esiste senza scogli, senza sabbia dorata, senza lido e hit estive”, esiste anche sulla luna e tra i cuscini di una stanza d’albergo dopo la prima volta di due ragazzi innamorati. Il mio mare non lo dimentico fino a quando non dimentico la luce di cui mi narra, quella che mi cova dentro aspettando di rivestire di bellezza ciò che trova.