di Carla Delle Vedove

La città è emblema della modernità e del progresso, è elaborazione e formazione del nuovo. Nel nostro immaginario collettivo è innovazione: non semplicemente un luogo, ma uno spazio urbano che inventa e dà origine a storie e narrazioni che plasmano il quotidiano.
La città offre diversi punti di vista da cui può essere osservata e interpretata. Se la guardiamo dall’alto possiamo controllarla, se invece ci addentriamo in essa, possiamo diventare parte delle storie e delle narrazioni che produce.
È questa la visione della città di Michael De Certau, filosofo, storico della cultura e della lingua e pensatore politico del Novecento.

Egli è stato oggetto della lezione tenuta dalla professoressa Sergia Adamo, docente di Teoria della letteratura e Letterature comparate presso l’Università di Trieste, durante la Summer School di Filosofia e Teoria critica svoltasi tra il 23 e il 25 settembre presso l’Università di Gorizia.
Secondo Michael De Certau, l’essere umano desidera osservare la città dall’alto perché in questo modo si sente in grado di controllarla nella sua totalità e di dominarla attraverso un solo sguardo. Prova una pulsione scopica, ovvero desidera vedere la città nella sua interezza, come una divinità che guarda gli uomini da una posizione sopraelevata. Dall’alto la percepisce muta, immobile, fissa, stabile e controllabile.
Nel momento in cui l’essere umano, invece, scende da questa posizione privilegiata entra concretamente a far parte della città, conosce le particolarità e le singolarità, sente i rumori, attiva tutti i sensi, incontra corpi e persone, avverte il continuo frenetico movimento che caratterizza gli ampi spazi urbani. Non è più capace di controllare la città nella sua totalità: prova quindi un senso di limitatezza, vulnerabilità e incertezza, elementi propri della natura umana.
Una volta immerso nella città, l’uomo diventa anche creatore e innovatore di essa: è da ogni suo singolo incontro che la quotidianità si sviluppa e che quindi diviene nel corso del tempo, determinando la microstoria e la macrostoria. Nella città si creano storie multiple senza autore e senza pensatore, facendo in modo che essa non sia fissa nel tempo, ma sia in continuo transito. La storia incomincia a livello del suolo passo dopo passo perché camminando possiamo inventare percorsi, ognuno dei quali è diverso in base alle nostre intenzioni e ai nostri desideri. In questo modo ogni giorno creiamo qualcosa di nuovo: la vera innovazione quindi sta nella quotidianità.
Michael De Certau però non è il primo a riflettere su quanto sia importante camminare all’interno di una città, cosa che può sembrare un’azione banale, ma che in realtà è determinante per lo sviluppo dello spazio urbano. Il filosofo e pensatore tedesco Walter Benjamin, infatti, vede la Parigi del diciannovesimo secolo non solo come capitale, ma anche come prefigurazione di ciò che sarebbe successo nella modernità e di come essa si stesse evolvendo.

Benjamin comincia le sue riflessioni traducendo i componimenti del poeta Charles Baudelaire, il quale all’interno de I quadri parigini, centra una questione fondamentale: lo spazio urbano, la città e le storie che essa produce. Egli comprende che le città sono “vive” e in continua trasformazione a causa dell’attività umana e in esse diventano di fondamentale importanza i luoghi di passaggio, definiti passage in francese. Questi ultimi infatti sono centrali luoghi di aggregazione, in cui coloro che appartengono alle classi sociali più ampie passeggiano nel tempo libero e in cui la borghesia comincia a sviluppare le proprie botteghe nella direzione di una nuova economia capitalistica. Anche la struttura architettonica dei passage è innovativa e rispecchia la nuova società degli inizi del Novecento: queste vie sono caratterizzate dal pullulare di botteghe e sono coperte solitamente da strutture in ferro e vetro che permettono il penetrare della luce, creando un’atmosfera suggestiva. I passage della città sono quindi un esempio di fantasmagoria, ovvero di una rapida successione di immagini, luci, colori e elementi che lasciano confusi chiunque li attraversi. È la stessa sensazione che proviamo al giorno d’oggi quando ci troviamo in un grande centro commerciale.
Il passage è il luogo in cui tutti camminano frettolosamente, in alcuni casi senza che ci sia una meta ben precisa, ma è anche il luogo in cui si fanno nuove conoscenze e in cui avvengono incontri casuali tra persone che si scambiano uno sguardo all’improvviso. Per un attimo le loro storie si incrociano diventando una parte dell’altra. A volte queste storie entrano in atto, mentre in altre non hanno un seguito. Per questo i passage sono il luogo delle possibilità, di ciò che succede e di ciò che sarebbe potuto succedere.
Un’altra caratteristica della città moderna secondo Benjamin sono le vetrine, specialmente quelle in cui sono esposte merci di lusso che il passante si ferma ad osservare ammaliato, nonostante spesso non abbia le possibilità economiche per permettersi di acquistare determinati prodotti. Anche in questo caso il sentimento provato è la fantasmagoria.
Le città moderne sviluppate a partire da fine Ottocento e inizio Novecento si rivelano quindi una fondamentale innovazione che ha determinato un nuovo modo di vivere e di percepire la realtà. Sono diventate il luogo per eccellenza in cui si producono storie, dunque il luogo da cui proviene il progresso. La sensazione di fantasmagoria, di stupore, di impotenza e di necessità di controllo prodotta agli inizi del Novecento dalle nuove città forse è la stessa che prova ognuno di noi quando si trova in un luogo vasto e ignoto: si sente il bisogno di elementi a cui aggrapparsi per poter controllare e comprendere la situazione.