di Alessandra Saltarini e Valentina Mazzola
Nonostante la giustizia di un paese dovrebbe interessare buona parte dei cittadini, anche se non sono direttamente interessati, non molti sanno cosa sta accadendo nell’ultimo periodo nei tribunali italiani.
Cosa succede veramente dietro a tutti quei processi che finiscono con i criminali condannati o assolti? Sicuramente non è merito di riti magici…potrebbe invece esserci dietro la magistratura italiana. Proviamo quindi ad avventurarci dentro alle così complicate dinamiche politico-amministrative dell’Italia, cominciando proprio dal modo in cui funziona il potere giudiziario del Paese.
Cosa accade quando un presunto criminale viene arrestato dalle forze dell’ordine? Viene svolto un processo oppure viene direttamente condannato sulla base dei crimini commessi?
Convalidato l’arresto, si procede all’applicazione di misure cautelari (custodia cautelare in carcere, arresti domiciliari, e così via) mentre si aspetta il parere del giudice riguardo alla pena che verrà comminata. Se il reato viene contestato sarà necessario valutare che tipo di procedura scegliere per il giudizio: si potrà decidere di sottoporre il criminale ad un processo ordinario, in cui saranno sentiti eventuali testimoni presenti, verranno rivisti l’intero caso e le prove a suo carico, oppure si potrà decidere di patteggiare per ottenere un’abbreviazione della pena (questo significherebbe che il criminale si è già dichiarato colpevole).
Questa è sempre stata la prassi, eppure proprio dal 30 dicembre del 2022 potrebbero presentarsi dei casi in cui ciò non viene del tutto rispettato. Stiamo parlando dell’entrata in vigore della Riforma Cartabia.
Originariamente la nuova norma sarebbe dovuta entrare in vigore il 1° novembre 2022, ma, trattandosi di un cambiamento particolarmente importante che va a modificare le procedure processuali, si è proseguito ad un suo slittamento.
La riforma stabilisce che è indispensabile la denuncia da parte della vittima (entro un determinato tempo) per procedere contro determinati reati: ad esempio per le lesioni personali, la violenza privata, il sequestro di persona (non al fine di estorsione), la truffa e la frode informatica. Eppure nel caso di un furto può succedere che il derubato non sia a conoscenza di chi sia il responsabile e che, di conseguenza, non sia in grado di denunciare il colpevole: questo reato, quindi, verrà archiviato, in quanto non è stata presentata alcuna denuncia. La vittima inoltre potrebbe non avere il coraggio di querelare perché nel frattempo è stata minacciata e si sente in pericolo.
Prima di questa riforma l’apertura di un caso avveniva automaticamente di fronte ad un reato e non era indispensabile che la vittima sporgesse denuncia.
La riforma ovviamente non possiede solo aspetti negativi: l’obiettivo di questa norma è ridurre l’enorme carico di processi che vengono presentati in tribunale e il sovraffollamento delle carceri. Il primo, infatti, è causato dall’eccessiva quantità di processi che arriva sulle scrivanie dei pochi giudici (attualmente tutti i tribunali sono sotto organico) per cui devono scegliere a quali dare la precedenza, mentre il secondo comporta la mancata incarcerazione o la scarcerazione anticipata di alcuni prigionieri rispetto al tempo che dovrebbero scontare.
Uno dei problemi maggiori è che senza la denuncia delle vittime salta anche la custodia cautelare (misura prevista quando i presunti colpevoli di un reato vengono posti in carcere in attesa del processo per evitare la loro fuga, un inquinamento delle prove o la reiterazione del reato), anche se a rispondere dell’accusa di reato è un presunto boss mafioso palermitano. Esempio troppo specifico? Sì perché questo è ciò che è avvenuto alla procura di Palermo, il 18 gennaio 2023. Tre boss della mafia sono stati accusati di sequestro di persona e lesioni aggravate dal metodo mafioso. Le vittime, come previsto dalla nuova legge, sono state interpellate dal giudice sull’intenzione di denunciare, ma queste si sono rifiutate, e ciò ha causato la decadenza dell’intera accusa. Gli imputati erano Giuseppe Calvaruso, Giovanni Caruso e Silvestre Maniscalco che avrebbero sequestrato e picchiato tre persone accusate di aver fatto una rapina senza l’autorizzazione di Cosa Nostra: in questi casi, senza denuncia, i criminali rimangono ingiustamente impuniti. I tre boss rimarranno in carcere, ma non per i motivi sopra espressi: per altre motivazioni che, se non dovessero sussistere, comporterebbero una scarcerazione dei mafiosi. È qui che emergono le potenziali problematiche della cosiddetta Riforma Cartabia.
Non possiamo dimenticare che molti mafiosi sono finiti in carcere per reati diversi dall’associazione per mafia, cosa che probabilmente non succederebbe più con questa riforma: chi mai denuncerebbe un capo mafioso?

L’ambito della giustizia in Italia è attraversato, in questo momento, da molteplici polemiche che non riguardano solo questa riforma, ma anche, per esempio, il regime del 41-bis. Diversi cittadini si sono ribellati contro questo regime carcerario a cui vengono sottoposti i mafiosi e i colpevoli di reati contro lo Stato, definendolo inumano e degradante. I detenuti sono privati di tutti i programmi di attività e si trovano essenzialmente tagliati fuori dal mondo esterno per impedire loro qualsiasi contatto con gli affiliati a organizzazioni criminali. Di conseguenza la durata prolungata delle restrizioni provoca effetti dannosi, che si traducono in alterazioni delle facoltà sociali e mentali, spesso irreversibili. Un’altra reazione a questo tipo di detenzione è nata quando Alfredo Cospito, con il suo sciopero della fame iniziato il 20 ottobre 2022, ha iniziato a protestare contro questo regime punitivo e non intende fermarsi fino al momento in cui non verrà eliminato il 41-bis.
Anarchico, non appartenente a circoli mafiosi, è stato comunque sottoposto a questa rigida condizione per reati contro lo Stato. L’uomo è accusato di attentati terroristici che non rientrano normalmente nelle motivazioni di incarcerazione al 41-bis. Le voci dicono che in questo modo si stia cercando di esercitare pressione sul detenuto al fine di indurlo a collaborare con la giustizia e usare questa situazione come precedente per altri reati.
Le posizioni riguardo alla Riforma Cartabia e al 41-bis sono varie e nessuno può davvero sapere cosa sia più giusto fare. Da una parte è giusto ridurre la quantità di processi impedendo a quelli minori di occupare più tempo rispetto a quelli molto più ampi e gravi, mentre dall’altra non può essere considerato corretto lasciare che alcuni criminali restino in libertà in assenza delle denunce delle vittime e che alcuni processi ricevano meno attenzione di altri. Riguardo invece alla questione del 41-bis, i mafiosi non possono essere lasciati liberi di comunicare con l’esterno e quindi continuare la loro attività criminale anche dopo il loro arresto. Eppure non sembra corretto dal punto di vista etico privare degli esseri umani di ciò che li rende tali, soprattutto se questo regime viene applicato anche al di fuori di ambienti mafiosi. L’unico modo per risolvere queste questioni sembra essere un cambiamento dell’azione della magistratura italiana, e ciò sarebbe possibile solo se vi fosse un’opinione condivisa che potrebbe avere un peso davanti a chi ci governa. Ovviamente questo non è per nulla facile: la popolazione ha idee e credenze diverse e, nella democrazia che governa il nostro paese, vince l’idea più appoggiata. Si dovrebbe quindi riuscire a formare una forte opinione pubblica, che verrebbe più facilmente ascoltata dalle istituzioni.
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