di Susanna Perini, Anna De Luca e Stella Simonin
Dal 22 maggio al 21 novembre, si è tenuta la 17esima edizione della Biennale di Venezia, curata da Hashim Sarkis e allestita nell’Arsenale e nel Padiglione centrale. Sarkis, oltre ad essere un architetto, è anche uno studioso, un pensatore e un docente, che ha scelto come argomento della mostra, un tema molto vicino ai nostri giorni: “Come vivremo insieme (in inglese “How will we live together”). Una delle prime dimostrazioni concrete di questo tema è stato, per appunto, l’allargamento degli spazi, per far entrare più visitatori alla mostra, rispettando comunque le normative Covid-19.
Oltre ad architetti e designer, hanno collaborato anche studiosi di altre discipline, quali informatica, neuroscienze e biologia.
Le opere, oltre ad essere state divise per nazionalità, sono state organizzate in cinque settori, che il curatore chiama “scale” ed ogni scala cerca di rispondere alla domanda iniziale. La prima è “Among Diverse Beings”, cioè il desiderio di connessione tra esseri umani tramite il mondo digitale, seguita da “As New Households”: la ricerca di spazi abitativi diversificati e dignitosi. Successivamente, si trova la scala “As Emerging Communities”, che rappresenta la voglia di equità, inclusione e identità spaziale delle comunità emergenti. Nel prosieguo, “Across Borders” indica l’immaginazione di nuove geografie tra i popoli, soprattutto in campo politico. A concludere, con “As One Planet”, la necessità di restare uniti per la salvaguardia del nostro pianeta, che sta affrontando delle crisi, che esigono un’azione globale per contrastarle, affinché noi esseri umani possiamo continuare a vivere.
SPAGNA, UNCERTAINTY
“Uncertainty” è il titolo che Sofia Piñero, Jacobo González, Andrzej Gwizdala e Fernando Herrera hanno voluto attribuire al loro progetto per rispondere alla domanda tema della 17a Mostra Internazionale di Architettura. Ma cos’è propriamente l’incertezza?
Utilizzata in numerosissimi ambiti, tra cui filosofia, economia, psicologia e fisica, essa racchiude in sé un significato fondamentale, quale la mancanza di stabilità, di chiarezza… ed è effettivamente questo che domina la nostra vita di tutti i giorni.
“Incertezza” è anche libertà, riflessione, ascoltare tante voci diverse e connetterle per allontanarsi dal proprio cammino prestabilito. Ciò porta al generamento di nuove opportunità e processi di pensiero, requisito fondamentale per la realizzazione di un progetto ormai comune agli architetti di tutto il mondo: superare la concezione tradizionale di “architettura” e affrontare nuove esigenze di una realtà in continua evoluzione, alla ricerca del benessere sociale come primo obiettivo.
È proprio questo il concetto complesso e affascinante da cui i quattro autori sono partiti, descritto poi fisicamente dall’alternanza di luci, schermi e pezzi astratti ed eterogenei. In tal modo, il fine/l’intenzione è di privilegiare il processo creativo rispetto a qualsiasi pezzo finito.
Protagonista di questa grande “macchina interattiva” è sicuramente l’installazione presente nella sala centrale, divenuta una delle immagini- simbolo della mostra: una nebulosa di 7000 fogli incolonnati e fluttuanti (curriculum, portfoli, progetti), all’interno dei quali sono riunite 466 proposte riferite ad una open call (ovvero una selezione di idee) e non sorteggiate e valorizzate. Uno “stormo” di strategie per la buona convivenza, nel quale l’individualità viene valorizzata per il raggiungimento di scopi comuni.
Le quattro sale laterali dell’edificio sono ispirate al misterioso concetto di “stanza delle meraviglie” (antica usanza alla base dei concetti di “collezionismo” e “museo”, che consisteva nel raggruppamento di oggetti appartenenti a diverse realtà in un unico ambiente). Dunque i progetti, estremamente eterogenei tra loro, sono osservabili seguendo un percorso totalmente personale. È presente anche un mapping audiovisivo, che spiega i processi che hanno portato alla scelta dei temi dei progetti e ai legami che intercorrono tra questi.
PADIGLIONE ITALIA
Il Padiglione Italia 2021 è fondato sulla convinzione che la crisi climatica sia la più grande sfida che l’Umanità debba affrontare e gli architetti si prendono la responsabilità di offrire un contributo.
I progetti scelti riguardano gli ambiti della crisi ambientale, l’ambiente costruito, la salute, la pressione sociale, la creatività e l’ecologia, seguendo un decalogo che si declina in 14 sezioni tematiche che tracciano i percorsi della resilienza. Un padiglione ricco di idee e tecnologia che ci fa sentire orgogliosi dei nostri progetti.
C’è un’occasione troppo spesso mancata in Italia: il corretto smaltimento dei rifiuti per produrre energia. Nello spazio dedicato al Laboratorio Peccioli, si può vedere il primo esperimento al mondo di robotica sociale: i robot-spazzini a domicilio, che portano la spesa a casa, oppure che vanno nelle farmacie a fare acquisti per gli anziani con difficoltà deambulatorie che vivono nel borgo medioevale.
Quello italiano è un Padiglione ad impatto (quasi) zero. E’ un progetto realizzato riutilizzando gli stessi materiali della precedente esposizione (nel 2019), permettendo all’allestimento della mostra di mantenere circa l’80% delle strutture in cartongesso, riciclando il restante 20%. La mostra rappresenta una sorta di città compatta, con strade e piazze che connettono le sezioni tra loro. L’idea è quella di inserire elementi e spazi che rendono la città tale, filtrata dalla vita. Ad ogni punto del decalogo corrisponde in mostra un’installazione, come se fossero monumenti al centro delle piazze o angoli di città.
Un’installazione che mi ha colpito particolarmente si intitola Plasticity di Niccolò Casas, una scultura 3D realizzata con la plastica recuperata dagli oceani.
Il Padiglione Italia dedica anche un focus e un approfondimento speciale ad Emilio Ambasz, considerato il padre della “Green Architecture”, che è stato uno dei primi, già negli anni Sessanta, a sottolineare tematiche ambientali tuttora attuali. Un pensiero che ogni progettista dovrebbe considerare nell’iniziare un nuovo lavoro: “Ogni costruzione costituisce un’intrusione nel regno vegetale, ed è una sfida alla natura: dobbiamo concepire un’architettura che si erge come l’incarnazione di un patto di riconciliazione tra natura e costruzione, progettare edifici così intrinsecamente legati al paesaggio circostante che è impossibile che si disimpegnino l’uno dall’altro”.
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