di Dafne Cal
Le mie radici scavano questo terreno da anni.
Sfilate davanti a me ogni giorno.
Vi dilettate con le vostre attività sotto i miei rami.
Eppure gli unici che riuscirebbero a distinguermi dai miei compagni alberi sono studiosi che avanzano ai confini del mondo tra l’afa e gli insetti o persi nell’oscurità dei laboratori, dove l’unica realtà che intendono è quella che vedono attraverso un microscopio.
Eppure non sarebbe difficile riconoscermi. Non vedete che sono più affusolato dei miei fratelli? Che la mia corteccia è più lucente e robusta? I miei aghi pungenti, ma flessibili?
Mi piace pensare che voi abbiate notato tutte queste mie qualità: è questo il motivo per cui mi avete adornato con questo grazioso nastro rosso e bianco, no?
I miei fratelli dicono che pretendo troppo da voi. Sono da compatire. Dicono. Non vedi come si affannano?
Ditemi: perché entrate e uscite da questo edificio? È forse questa la vostra casa? Non penso: dalle finestre non scorgo letti o cucine, e, in ogni caso, ve ne andate prima che il sole abbia smesso di scaldare le nostre foglie.
E quel DRIIIIIN acuto che sento ogni tanto? Un driiin e tutti entrate dalle porte, un secondo driiin e vi muovete come animali chiusi in gabbia. All’ennesimo driiin, uscite, pronti come soldati all’udire di un ordine autoritario.
E poi vi vedo il giorno dopo. E il giorno dopo ancora. Così per sei lune. Poi silenzio.
Cosa succede? E’ la mancanza del driiin che vi impedisce l’apparizione?
Poi tornate… tornate sempre. Perchè tornate? Sembrate così miseri mentre superate il gelido rivolo d’acqua.
Poi il sole cede un po’ del suo tempo alla luna. Il buio ha fretta di arrivare e tentenna quando è ora di andarsene. Le vostre cortecce diventano più gonfie, i vostri rami vengono coperti, sulla vostra chioma compaiono buffi berretti.
E’ l’inverno che sopraggiunge.
In questo fazzoletto di terra in cui sono stato costretto a espandere le mie radici vivono anche altri miei simili: la mia stessa chioma, il mio stesso tronco. Altri sono diversi. Il freddo non mi ha mai turbato: per me la pioggia torrenziale e gelida non è altro che una dolce spruzzata fresca e il vento fervido non è altro che la carezza di una leggera brezza di passaggio.
Non tutti sono come me però.
I platani.
Quando i vostri avi hanno deciso per me questo alloggio non si sono preoccupati di procurarmi una compagnia che mi deliziasse.
Quegli scontrosi pezzi di legno.
Perchè, bipedi, perché avete dato loro così tanta storia? Guardate me, con la mia corteccia marrone intenso, solida, viva; con la mia chioma sempreverde, i capelli lisci e appuntiti , verdi aculei.
Loro saranno forse pari a me per maestosità, ma guardate la loro corteccia: screpolata, che cade a un minimo accenno di vento. Ma voi avete dato una spiegazione nobile a questo loro aspetto. Avete scritto in quel vostro libercolo sacro che è stato il Signore a punire quell’albero superbo, per aver nascosto nella sua cavità un serpente, che all’inizio dei tempi si era improvvisato fruttivendolo, forse… non ricordo bene.
Ercole uccise l’idra sotto un Platano, Socrate diede le sue lezioni sotto un platano, Giove e Giunone si sposarono sotto un platano.
E tutto questo perché? Perché le loro foglie vi ricordano le vostre mani, non è vero? Le loro belle foglie palmate, che sulla punta dei loro rami si estendono verso il cielo. I miei aghi, invece, punzecchiano i vostri corpi senza pietà. E quindi loro sono i protagonisti delle vostre storie, non io.
Ma tranquilli, non me la prendo.
Poi arriva il caldo.
Arriva il caldo e voi scomparite.
Di solito gli animali vanno in letargo quando il clima diventa freddo, non quando fa caldo.
Dove andate? Il vostro DRIIIN si è rotto?
Vi cerco, ma i rami dei miei fratelli mi bloccano la visuale. Dove vi celate?
Ah ecco! Appena comincio a preoccuparmi, quando penso che anche la vostra specie, come tante prima della vostra, abbia finito i suoi giorni su questa terra… uscite dalle vostre tane.
E, come se non ci fosse stata alcuna pausa alla vostra frenetica marcia, ricominciate con il vostro via vai.
Stavolta, però, vedo volti diversi.
Prima che possa cominciare a riconoscervi, scomparite di nuovo.
E tornate, ma siete diversi: più alti.
Non ho il tempo di finire la discussione con la quercia, saggia ma testarda, che vi dileguate.
Poi vi manifestate di nuovo. Tornate sempre, ma siete sempre diversi.
Come fate a mantenere questo ritmo frenetico? Dove finite quando diventate troppo grandi per sedere su quelle sediucole e appoggiarvi a quei minuti banchi?
Forse i miei fratelli hanno ragione: sono io che dovrei compatire voi. Per noi tutti questi anni non sono altro che pochi istanti, per voi intere stagioni della vostra effimera vita.
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