di Desiree Saccavini

Sul treno ogni mattina viaggiano tante persone, elencarle tutte sarebbe un po’ complicato, ma ce ne sono alcune che compaiono proprio ogni giorno: i loro posti sono sempre prenotati e la loro presenza è così assicurata che è come se facessero ormai parte del grande motore e, solo se loro si incastrano nel modo corretto, allora il mezzo può muoversi.
Vicino al finestrino è accomodato sempre il sognatore: è colui che, guardando il paesaggio, lascia che i pensieri circolino nella sua mente, così si generano molteplici domande e nella velocità dell’immagine che gli si presenta di fuori cerca di intravedere delle risposte dentro di sé, ma le potrà mai trovare? In ogni caso, non si dà per vinto e continua a cercare, magari aiutandosi con qualche nota di una canzone che ha già ascoltato un sacco di volte, però sente ogni parola come nuova, perché le sue idee sono talmente inafferrabili che cambia continuamente opinione su tutto.
Poi eccolo, ancora vicino alla porta, il ritardatario che cerca di riprendere fiato. Si è svegliato al massimo dieci minuti prima di uscire di casa e tra una corsa e l’altra gli è caduto del dentifricio sulla maglietta. Se ne è appena accorto, ma ormai non si può più rimediare, domani farà più attenzione. Si guarda intorno e non trova nessun posto libero. D’altronde cosa pretende, dev’essere già contento di esserci salito su quel treno. Forse perché non è ancora sveglio del tutto oppure perché il viaggio di questa mattina è più tumultuoso del solito, in qualunque caso ha difficoltà a stare in piedi e dondola a sinistra, a destra, di là, di qua.
Non dimentichiamoci del solito maleducato che mette i piedi sul sedile, si distende, si addormenta, come se avesse ritrovato la sua camera da letto, questa volta in movimento. Ovviamente non si limita ad occupare il singolo posto che gli spetta; puoi anche chiedergli di lasciarti dello spazio libero e sappi che è disposto a togliere le sue cose per farti sedere, ma nel frattempo ti guarda un paio di volte con uno sguardo infastidito e sbuffando.
Proseguendo, in fondo al vagone c’è la signora che compila i suoi cruciverba; nelle ultime pagine del giornale trova anche l’oroscopo: cosa diranno oggi al suo segno? Ma poi alla fine le importa davvero quello che c’è scritto oppure è diventata una delle solite abitudini che ha paura di abbandonare? Nulla, anche oggi è stata una delusione, meglio lasciar stare questi inutili fogli di carta. Allora decide di guardarsi intorno e nota che di fronte a lei è seduta una coppia di giovani. Sono molto contenti e sulle loro facce c’è uno sguardo diverso rispetto a quello degli altri viaggiatori: loro hanno già trovato delle conferme, però in un’altra persona. E quindi devono continuamente tenerla sott’occhio, perché il rischio che cambi qualcosa è grande. Non dipende da loro presi singolarmente, ma ciascuno dipende dall’altro. Proprio questo sta cercando la ragazza lì vicino: sta cercando qualcuno in cui riporre le sue incertezze e trarne una sicurezza. Per ora ancora niente, quindi si distrae ripassando l’argomento delle verifica di quel giorno: la matematica potrà non essere il suo mestiere, ma per ora è un ottimo rifugio in cui consolare le sue perplessità.
Quante persone, forse troppe… E, se guardi ancora meglio, praticamente nessuno sta parlando: tutti comunicano con loro stessi o si isolano grazie a uno schermo che illumina le loro espressioni stanche e confuse.
Come nella vita, tutte queste persone stanno ferme, e il treno corre insieme al tempo; hanno lo stesso macchinista e talvolta passa anche il controllore per vedere se è tutto in regola.
E chissà se, come sul treno, anche noi dovremo per forza trovare un posto nella vita, un posto in questo continuo passare del tempo. Chi ce lo dà questo posto? Da cosa è determinato il fatto che io mi debba sedere in ultima fila oppure vicino alla porta, pronta a scendere? Chissà se il mio posto lo dovrò dividere con qualcun’altro oppure dovrò lasciarlo ad altri. Sicuramente dovrò essere io il controllore di me stessa. Ma poi chi è che paga il biglietto della mia vita? Qualcuno me l’ha prenotato o sono andata io a comprarlo direttamente in biglietteria?
Di certo a queste domande è difficile dare una risposta. Nel dubbio, per molti l’importante è non arrivare in ritardo. Ovvio, viaggiare in piedi non è mai stato così comodo, alla fine basta solo trovare il proprio equilibrio e tutto sommato è meno rischioso di stare seduti: una volta scoperta la bramata comodità è difficile riconoscerla appieno e non accorgersi che probabilmente, in quel momento, quel posto è più utile ad altri.
Questo è il viaggio in treno che vi volevo offrire, quello che faccio io ogni mattina per andare a scuola, e mi dispiace dirvelo, ma siamo arrivati a destinazione, almeno alla destinazione di questa riflessione e anche di quest’anno scolastico. Non so se voi nel corso dei mesi siete stati in piedi, seduti in ultima fila, vicino al finestrino o vicino all’uscita, da soli o insieme a qualcun’altro, però mi piace pensare che ora, tirate le somme, abbiate trovato almeno un po’ di stabilità e che le vostre gambe si siano fatte forti. Mi auguro che non siate rimasti seduti mentre qualcuno in piedi traballava e che abbiate avuto la premura di guardare fuori dal finestrino, ma, allo stesso tempo, anche la cura di osservare dentro di voi. Spero che non vedere l’ora di arrivare vi abbia tenuto ben svegli e non vi siate addormentati nell’attesa. Spero che, se vi siete accorti di essere sulla linea sbagliata, abbiate avuto il coraggio e la forza di rimediare il prima possibile e, soprattutto, che non abbiate bisogno di tornare indietro perché vi siete dimenticati qualcosa lungo il tragitto. Spero vi siate fatti amici alcuni passeggeri e abbiate trovato in loro un motivo per proseguire, un motivo per superare quelle giornate in cui eravate sul punto di abbandonare il treno. Infine spero che chi non si deve fermare a questa stazione, ma deve raggiungere la prossima, dove l’aspetta una prova fondamentale, abbia raccolto in valigia tutti gli strumenti necessari per andare ancora più veloce e dare il meglio di sé in quest’ultimo tratto. “E per quanta strada ancora c’è da fare, amerai il finale!” (Buon viaggio (Share the love), Cesare Cremonini).