di Alessio Zulian 3D

“Franceschini Amanda?”  

Nessuno rispose…
La docente si guardò attorno, cercando qualcuno che le potesse dare una motivazione per l’assenza. Una collega le si avvicinò e seria le comunicò qualcosa all’orecchio. Dopo un’espressione di lieve apprensione,  continuò con l’appello.
Fu un colpo: durante il viaggio non riuscì a pensare ad altro. Al diavolo la montagna, il lago e l’alpinismo.  L’unico motivo per cui era contento di andare in gita era lei, ma lei non c’era. Si interrogava su cosa mai le  potesse essere capitato. Immaginò che poteva essersi sentita male. E se fosse stato qualcosa di serio? Cosa  poteva voler dire quell’espressione della professoressa? Tutto e niente: poteva essere dispiaciuta perché, a  causa di un raffreddore, una sua alunna si stava perdendo una bella esperienza. Oppure poteva stare trattenendo la preoccupazione dopo aver appreso una notizia peggiore di quello che si fosse aspettata.
Mentre scendeva i gradini della corriera si sentiva le gambe tremare, il viso pallido, la bocca asciutta. Non  sentiva più le forze. Trascinare la valigia sembrava uno sforzo titanico e non vedeva l’ora di arrivare in camera,  chiudersi in bagno e piangere. Dopo qualche minuto a piedi, dal luogo in cui la corriera li aveva lasciati,  giunsero davanti a due larghe e basse costruzioni in legno. Erano delle abitazioni a un piano, a poche centinaia  di metri dalla riva del lago, fuori dal paese. In una si trovavano i dormitori e i servizi igienici, nell’altra la sala  da pranzo, con le cucine, una segreteria e delle grandi stanze fornite di poltrone, tavoli e divani per lo svago.  Vicino a quelle due costruzioni scorse qualcosa che non avrebbe mai immaginato di trovare: Amanda era lì, in piedi a fianco alla propria valigia. Suo papà amava la montagna e possedeva un appartamento ad Andalo,  nel quale avevano passato il week-end. Sarebbe rimasto lì per tutta la settimana e, per non far fare viaggi  inutili alla figlia, aveva richiesto alla scuola se fosse possibile affidarla agli accompagnatori nel momento in  cui la corriera fosse arrivata in paese.  Questa è la storia di un ragazzo che, dopo essere quasi svenuto dallo stupore, trascorse dei giorni  indimenticabili con la ragazza di cui era innamorato. Parlò molto con lei durante la biciclettata, poiché erano  stati assegnati allo stesso insegnante, e si rese conto che il suo interesse e il piacere per la conversazione  erano ricambiati da lei. Raccontavano delle proprie passioni, dei propri sogni, ridevano di episodi iconici  accaduti in classe, si lamentavano di professori, stando bene attenti a non essere sentiti da quelli che  facevano gli accompagnatori, e entrambi scoprirono di essere molto affini. Durante l’escursione verso Cima  Tosa, Amanda, mentre chiacchieravano, si distrasse, forse perché i suoi occhi erano distratti dai dolci  lineamenti di lui, e inciampò. Prontamente le porse il braccio e lei, sbilanciata, lo afferrò, riuscendo a  mantenere l’equilibrio. Le chiese se stesse bene. Le si spostò un ciuffo di capelli che le era finito davanti agli  occhi e sorrise. Non disse sì, ma bastò quello sguardo allegro e timido, lo stesso del primo giorno di scuola,  quando lo aveva salutato per la prima volta, per rassicurarlo. Continuò a camminare come se nulla fosse, ma  nel petto sentiva una fiammata di caldo e una tensione involontaria dei suoi muscoli gli aveva sollevato gli  angoli della bocca di almeno mezzo centimetro. Sapeva che c’era qualcosa di speciale fra loro ed era deciso a  scoprire se fosse una sua invenzione o se ci fosse una corrispondenza nei sentimenti di Amanda. Gliene avrebbe parlato quella sera. Era l’ultima sera in quel posto magico. Doveva dirle tutto!
Dopo cena i professori avevano concesso alla classe due ore libere. Il giorno dopo, all’alba una corriera li  avrebbe strappati dalla magia delle montagne e riportati a casa, alla quotidianità delle lezioni, delle  interrogazioni e delle verifiche.
Decise di portarla al lago. Il Sole stava tramontando e lambiva la superficie terrestre con gli ultimi raggi che  avrebbe offerto per quella giornata. Quei raggi si propagano dal centro di una massa fiammeggiante, un enorme fuoco, un fuoco rosso, che emette luce e calore per chilometri e chilometri nell’universo, fino a  toccare il nostro pianeta, molto più deboli di quanto non siano alla sorgente. Allo stesso modo il suo cuore,  rosso fuoco, stava pompando sangue e agitazione nelle sue vene, ma, propagandosi per tutto il suo corpo,  queste emozioni si affievolivano e non erano percepibili dall’esterno.
Camminavano fianco a fianco, a un metro di distanza o poco più, verso il lago. Gli alberi, le montagne e tutto  il paesaggio circostante si rifletteva sulla superficie dell’acqua. Ridevano come al solito, ma lui era  sovrappensiero. Pianificava come dirglielo. Era un sentimento enorme, ma non servivano grandi discorsi per  descriverlo: bastava un “mi piaci” o un “ti amo” anche se quest’ultima espressione lo spaventava un po’,  come quando a un’interrogazione si cerca di ripetere le parole che il prof. usa durante la spiegazione,  cercando di essere convincenti, ma consapevoli di non padroneggiarle veramente. Lei addirittura gli chiese  se si sentisse bene e lui si dovette inventare una scusa: disse che gli dispiaceva andare via. In realtà era una  mezza verità. Quello che gli interessava non era andare via o meno, ma farlo a mani vuote o dopo averle  finalmente detto quanto forte gli batteva il cuore quando le parlava, o quando solo la pensava. Quanto era  stato felice nel momento in cui l’aveva vista davanti ai dormitori e come era stato rapito dal suo sguardo quel  memorabile primo giorno di scuola!
Così, dopo aver passeggiato attorno al lago per diverso tempo, tirando in ballo la stanchezza, le propose di  sedersi su una panchina, posta in fondo al molo. Ormai il cielo cominciava a farsi buio, ma non si vedevano  le stelle, a causa di minacciosi nuvoloni grigi che stavano prendendo il centro della scena celeste. Non trovò  il coraggio di andare dritto al punto. Ci girò intorno. Le confessò che non si aspettava di legarsi a lei così  velocemente, dando l’impressione di essere solamente contento di una nuova amicizia. Scherzò sul fatto che  non riusciva a comprendere come mai si fossero conosciuti così bene solo allora, dato che avevano tante  cose in comune. A ogni sua affermazione lei rideva e annuiva, visibilmente si trovava a suo agio e sembrava  molto divertita nel cercare di capire dove volesse andare a parare con quel discorso.
A un tratto lui smise di parlare e lei di ridere. Ci fu un silenzio, ma nessuno dei due si imbarazzò, come se  stessero recitando e quella pausa fosse decisa dal copione. Si girò a guardarla negli occhi, per trovare nel suo  sguardo il coraggio di sputare fuori quelle parole su cui tanto aveva rimuginato. Lei aspettava in silenzio.  Aspettava una frase dolce, una dichiarazione, una carezza, un bacio. Si trovava in una situazione nella quale  chiunque si sarebbe aspettato almeno una di queste cose. Certamente non si aspettava che una grossa goccia  di pioggia le precipitasse sulla punta del naso, facendola sobbalzare. Entrambi alzarono la testa al cielo  perplessi e una schiera di altre migliaia di gocce stava seguendo l’esempio di quella che aveva bagnato il naso  di Amanda, lasciandosi cadere per prima. “Forza, andiamo. Sta cominciando a piovere” fu l’unica cosa che  riuscì a dire, marcando la voce con rassegnazione e lei lo seguì in silenzio, trascinandosi dietro un velo di  delusione.  Questa, d’ora in poi, doveva essere la storia non solo di un ragazzo qualunque, ma anche di una qualunque  ragazza. Questo doveva essere il punto di inizio della loro storia, ma un temporale complicò le cose: dopo  essere rientrati nelle loro camere si abbandonarono al sonno e il mattino seguente, come da programma, tornarono a Udine.
Le rimanenti tre settimane di scuola finirono in un battito di ciglia e nessuno dei due, durante questo breve  lasso di tempo, trovò il modo di rievocare quella sera. Non volevano esporsi, rischiare di fare una brutta  figura: alla fine potevano aver interpretato troppo romanticamente una semplice serata fra amici. Confessare  un sentimento più profondo, se non ricambiato, avrebbe generato un imbarazzo tale da non poter più  sostenere il rapporto già esistente e lo reputavano troppo prezioso per correre il rischio. Però questa non era  la verità: si trattava di una scusa, per non ammettere di essere intimoriti dalla delusione che rischiava di  travolgerli. Nelle loro menti l’amore era un groviglio astratto di sogni, desideri e sentimenti celati, che non  aveva ancora trovato una proiezione soddisfacente nella realtà. Era un concetto puro, perfetto che non potevano permettersi di intaccare con il dolore di un’illusione infranta che sembrava poter provocare uno  stato di sofferenza irrevocabile. Così ci fu un silenzio totale sull’argomento, nonostante ognuno dei due,  durante le loro quotidiane conversazioni, cercasse di scorgere dei segnali nell’altro a conferma delle proprie  ipotesi, ma senza essere mai abbastanza convinti per decidere di compiere una mossa decisiva.
L’ultimo giorno di scuola giunse senza che se ne rendessero conto e il suono dell’ultima campanella li turbò  profondamente. Fuori da scuola si salutarono per augurarsi una buona estate. Ci fu un lungo abbraccio  durante il quale, ognuno per conto suo, si rese conto che quella forse era l’ultima occasione che avevano per  essere sinceri. Potevano lasciar perdere l’imbarazzo, il timore e semplicemente rendersi fragili agli occhi della  persona che stavano stringendo. Avrebbero scoperto che i loro sentimenti erano ricambiati, che tutto quello  che uno stava provando, lo stava provando anche l’altra e sarebbero finalmente riusciti a esplicitare ciò che  si stavano comunicando implicitamente attraverso quella affettuosa stretta. Staccandosi però si dissero  soltanto “ciao” e poi si allontanarono in direzioni opposte, lui rassegnato al fatto che l’amore probabilmente  non sarebbe mai uscito dalla sua testa e lei, delusa da sé stessa, per essersi illusa di aver trovato un principe  azzurro, mentre aveva solo perso tempo con un ragazzo qualunque.