Parte 1

di Alessio Zulian 3D

Questa è la storia di un ragazzo qualunque. Abitava in un paese tranquillo, nella bassa friulana; era un luogo  perfetto per crescere: con poco traffico e concentrato attorno a un meraviglioso centro storico. Tutti i ragazzi  di lì si spostavano comodamente a piedi o in bici: per andare a scuola, a fare la spesa, a calcio, dal dentista…  insomma tutto era a portata di mano, anzi, di gambe.
Da quando si era iscritto alle superiori, era costretto a uscire da questa bolla di serenità. La sua scuola si  trovava a Udine. Era uno dei licei più rinomati, non una scuola esclusiva, ma, a detta di tutti, impegnativa.  Andare a scuola gli piaceva, anche perché studiare non era un peso. Non aveva incontrato difficoltà durante  il suo percorso scolastico e il passaggio alle superiori non aveva cambiato le cose. Spesso si trovava imbarazzato nel ricevere complimenti esagerati dagli amici dei propri genitori: riteneva di non possedere  delle doti eccezionali o una straordinaria cultura, bensì di soddisfare semplicemente le richieste di un sistema,  forse un po’ datato, che stabilisce il valore degli studenti con dieci numeri. Avere buoni voti non era una  grande soddisfazione, ma prenderne di cattivi gli rovinava la giornata, peggiorava il suo umore. Questo  paradosso inspiegabile lo spingeva a impegnarsi per concludere ogni anno scolastico con dei voti sopra la  media e, allo stesso tempo, gli faceva desiderare qualcosa di meglio da fare, qualcosa che lo facesse sentire  utile al mondo, bravo in qualcosa di importante per la società: un lavoro. Però il suo futuro dopo la scuola  era un concetto impossibile da delineare, come se fosse offuscato da quel sistema che lo distraeva dalla vita  reale con compiti, interrogazioni e verifiche.
Questa è la storia di un ragazzo che era terribilmente spaventato dalla noia, dall’assenza di emozioni. Il suo  scopo, come quello di molti altri ragazzi, era godersi una vita piena e, per questo, ripudiava la noia! Dunque  riempiva il suo tempo libero come sua madre faceva con le valigie che portava in ferie: calcio, musica, uscite  con gli amici, corsi, gruppi organizzati dalla sua scuola, libri e puzzles erano la sua salvezza. Si manteneva costantemente impegnato per non ricadere mai nella trappola della noia, ma, nonostante tutti i suoi sforzi,  c’era un’emozione che non riusciva a soddisfare: l’amore.
Quello che sapeva sull’amore prima delle superiori era molto poco. Le sue nozioni erano prelevate dalle serie  tv, dai romanzi e da qualche delusione durante le scuole medie. Il suo bagaglio culturale in merito alle  questioni amorose si poteva riassumere in un bacio non dato a una sua compagna di classe, dopo mesi che  cercava il modo per chiederle di uscire, e tanti, ma tanti sogni.
Questa è la storia di un ragazzo che pensò di aver trovato la risposta a tutte le domande, la strada per  realizzare tutti i sogni, la chiave per soddisfare tutti i desideri al suo primo giorno di scuole superiori, negli  occhi di una ragazza. Si era seduta accanto a lui, proprio lui fra tanti sconosciuti e gli parve che avesse sorriso  salutandolo. Non ne era sicuro perché una mascherina le copriva metà della faccia, dato che un’estate di  lockdown, dopo una pandemia globale, era appena terminata e la riapertura delle scuole prevedeva alcune  restrizioni. Sembrava assurdo: non aveva nemmeno visto il suo viso per intero, ma i suoi occhi e la sua voce  lo avevano conquistato. Forse succede così a tutti: qualche piccolo dettaglio di una persona, senza  che noi possiamo accorgercene, ci colpisce e, un momento dopo, vorremmo passare ogni singolo istante con  quella persona senza sapere cosa, in particolare, ci spinga a volerlo…
Dopo circa un mese di scuola era riuscito a conoscerla abbastanza per intrattenere un dialogo di qualche ora,  semmai fossero dovuti uscire: sapeva che abitava in un paesino appena fuori Udine, conosceva i suoi gusti  musicali, le sue serie tv preferite e addirittura il suo nome: Amanda, che durante quel primo giorno di scuola  non era mai riuscito a cogliere. In realtà molte di queste informazioni le aveva apprese parlando con la propria  migliore amica, con cui era finito in classe, non solo alle medie, dove si erano conosciuti per la prima volta,  ma anche alle superiori. Lei aveva legato molto con Amanda e lui ne approfittava, nel tentativo di avvicinarsi al suo obiettivo.
Tornando a casa da scuola, ogni giorno, con la testa appoggiata ai vetri della corriera, fantasticava su ciò che  sarebbe successo: si sarebbero avvicinati gradualmente, nonostante le difficoltà date dal distanziamento  sociale, avrebbero cominciato a uscire insieme e, un bel giorno, dopo averle offerto un gelato, le avrebbe  chiesto di “stare assieme”.
STARE ASSIEME: quella mitica espressione che molti suoi amici pronunciavano spesso, come finanzieri,  soddisfatti di avere stipulato un importante contratto, da milioni di euro. Serve per tracciare una linea netta  fra chi si deve sentire solo, sfigato, incompleto e chi può sentirsi arrivato, soddisfatto, senza la  preoccupazione di essere preso in giro. Una definizione che serve per rispondere a chi ti chiede: “E allora,  come va con quella ragazza?” “Stiamo insieme” si dice, perché è troppo complesso spiegare nei dettagli le  dinamiche di un rapporto che si crea fra due persone, quando c’è attrazione, perciò si ricorre a  un’omologazione: è più rapido, non costa fatica. Ma come si può racchiudere le mille sfaccettature che possono denotare ogni singolo rapporto (le regole che si stabiliscono, le abitudini che si consolidano, la  frequenza degli incontri, il modo in cui si dona e riceve affetto…) con una sola espressione? In questo modo  viene a crearsi un’idea popolare di cosa vuol dire “stare assieme” e se un rapporto non rientra nei canoni  idealizzati viene disprezzato o, quantomeno, ritenuto bizzarro.
Questo gli frullava nella testa mentre vedeva scorrere le abitazioni al di fuori della corriera. In realtà era ben  lontano da tutto ciò, ma sperava che presto quella definizione diventasse un suo problema.
Questa è la storia di un ragazzo che, un mese prima della fine della scuola, incontrò una grande opportunità:  grazie al miglioramento delle condizioni epidemiologiche e al disperato bisogno degli studenti di  riappropriarsi del vecchio modo di relazionarsi, la scuola aveva organizzato delle gite. La sua classe avrebbe  alloggiato per quattro giorni ad Andalo, in provincia di Trento. Il programma prevedeva delle sessioni di  ciclismo per visitare l’area circostante al paese, magnificamente ricoperta dalla vegetazione; un’uscita in  barca, sul lago, rinomato per l’acqua limpida e gli splendidi pesci, fra cui certe specie rare, che lo popolano; un’escursione che aveva come meta Cima Tosa, l’imponente montagna che si erge a pochi chilometri da  Andalo. Quest’ultima esperienza sarebbe stata guidata da alpinisti esperti, che avrebbero spiegato alla classe,  durante la scalata, la storia dell’alpinismo.
La gita rappresentava l’occasione che aspettava dal primo giorno di scuola, da quando si era perso nel caldo  marrone dei suoi occhi: lui e Amanda avrebbero passato del tempo insieme e finalmente sarebbe sbocciata  la storia d’amore che sognava ogni notte.
Una terribile notizia demolì il suo entusiasmo la mattina della partenza. Erano le sette di un lunedì e tutti i  suoi compagni erano già al punto di ritrovo, dal quale sarebbe partita la corriera. La professoressa stava  facendo l’appello: uno ad uno, pronunciava i nomi degli alunni e ognuno, rispondendo con un assonnato  “presente”, si apprestava a caricare i bagagli nella stiva della corriera e a prendere posto, sbracciando per  conquistare i sedili in fondo.
“Franceschini Amanda?”

Nessuno rispose…