di Emanuele Campiello

Il sondaggio proposto al triennio ha messo in luce le diverse sfaccettature dell’alternanza scuola lavoro nella nostra scuola.

Il Miur la definisce “un’esperienza formativa innovativa per unire sapere e saper fare[…]”, ma che cos’è l’alternanza scuola lavoro per gli studenti del triennio che la vivono in prima persona?

Ce lo siamo chiesti e lo abbiamo chiesto a loro tramite un sondaggio che è circolato sui vari gruppi delle classi e ha raccolto 72 pareri. Le risposte, abbastanza eterogenee, provengono per il 50% da ragazzi di terza, probabilmente i più toccati dall’argomento, per il 29,2% dalle quarte e per il restante 20,8% dalle quinte. Le domande, dal canto loro, avevano uno scopo ben preciso: capire quanti sono soddisfatti delle loro esperienze di alternanza, cosa si potrebbe migliorare e cosa, invece, è già perfetto così.

Ci sono pervenuti segnali incoraggianti, ma che fanno comunque molto riflettere sull’utilità di queste fatidiche 200 ore. In sostanza possiamo dire: “ci  sono due notizie: una buona ed una un po’ meno buona”. Partiamo da quella buona, o meglio, da quelle buone. L’alternanza ha soddisfatto le aspettative di ben il 75% dei votanti, che verosimilmente hanno anche riconosciuto che i suoi maggiori punti di forza sono il fatto che permetta di fare esperienze molto formative (38,5%) e che aiuti a farsi

un’ idea del proprio lavoro futuro (30,8%). Il 61,1% sostiene anche di aver vissuto esperienze molto positive, come il Messaggero Veneto Scuola, L’Intrepido, l’animazione, il percorso per il viaggio ONU a New York, il progetto “Curvatura biomedica”, l’attività di doposcuola, nei centri estivi, nelle biblioteche e i campi-scuola della Protezione Civile. Il 93,1% dice anche di non avere vissuto nessuna esperienza molto negativa.

Nonostante ciò (e qui passiamo alla notizia un po’ meno buona) non possiamo ignorare quel 38,9% che afferma di non aver mai vissuto una vera e propria  esperienza molto positiva. Tra l’altro non sono da trascurare neanche i maggiori difetti attribuiti all’Asl, ovvero che le ore riconosciute sono molte meno di quelle svolte (20,5%), ma soprattutto che le attività fatte non avevano niente a che vedere con il percorso di studi della nostra scuola (37%).  Infatti il fatto che l’alternanza “piaccia” alla maggior parte, non vuol necessariamente dire che questa abbia significato per noi una crescita personale o conoscitiva: le attività che uno studente svolge spesso non sono frutto di una scelta libera, bensì di un ragionamento fatto in base a ciò che conviene di più fare per avere più ore possibili con meno impegno. Questo non è neanche troppo difficile, dato che le attività più impegnative (nel senso concreto di impegno materiale nel tempo) generalmente danno in proporzione meno ore. Ciò logicamente accade perché si cerca di fare in modo che uno studente provi più attività, perché altrimenti un ragazzo che, ad esempio, svolge un’attività che lo impegna per 150 ore non avrebbe bisogno di prendere parte ad altri progetti. In questo modo pertanto l’alternanza diventa un calcolo matematico sulle ore e perde parzialmente la sua funzione educativa  e “nobile”.

Oltre ai dati e alle considerazioni fatte, fra i commenti abbiamo potuto raccogliere al sondaggio alcuni suggerimenti per migliorare l’alternanza nella nostra scuola: maggiore compatibilità con gli impegni scolastici, anticipo nella presentazione del piano delle attività e dei progetti, migliore organizzazione generale.