di Karin Pascoletti 4^B

La pandemia di covid-19 scoppiata alla fine dello scorso anno nella provincia cinese di Wuhan, che è arrivata in Italia agli inizi di febbraio, ha colpito e interessato la vita di tutti e non solo in Italia. Oltre ad avere i lati terribili che tutti conosciamo, in primis i decessi e la patologia, ma anche la “reclusione” e la distanza sociale, questo nuovo virus ha avuto conseguenze positive sull’ambiente, che hanno destato l’attenzione e hanno fatto riflettere perché si sono manifestate dopo solo un mese di quarantena generale. Si sono potuti osservare fenomeni che prima venivano reputati quasi un’utopia: i cieli cinesi sopra le grandi fabbriche per la prima volta da tanto tempo sono limpidi, e, più vicino a noi, le acque dei canali di Venezia sono trasparenti; ma anche nelle campagne e nelle piccole città gli animali occupano gli spazi lasciati vuoti da noi umani. 

Personalmente trovo che sia paradossale che il tema principe degli ultimi anni, ovvero la presa di consapevolezza sulla situazione ambientale globale, non abbia sortito alcun risultato nel concreto. Infatti, appena si è palesata l’emergenza coronavirus il problema del riscaldamento globale è stato completamente messo da parte, per poi scoprire che le misure di sicurezza messe in atto per la prevenzione della diffusione di questo virus hanno portato, in un solo mese, più risultati nel campo della salvaguardia ambientale che un anno di manifestazioni. Inoltre appare surreale il fatto che prima di questa pandemia il problema ambientale sembrasse insormontabile, mentre adesso siano stati fatti progressi, involontariamente, come effetto collaterale. 

Quello che mi fa riflettere più di tutto è il fatto che, quando un problema ci colpisce direttamente siamo  in grado di fermare il mondo per risolverlo, mentre per la crisi ambientale non sia mai stato fatto nulla di concreto e su scala globale che abbia portato a dei risultati, da ciò deduco che il problema non sia mai stato preso seriamente, come se non ci riguardasse direttamente e non avesse un impatto, in breve tempo, della stessa portata del virus con cui abbiamo a che fare adesso. Gli Stati si stanno comportando come noi studenti, che a febbraio procrastiniamo e rimandiamo tutti i recuperi a maggio, anziché affrontare subito i problemi. La differenza però è che per la terra non ci saranno esami di recupero. 

Questa quarantena ha fatto fermare tutto, economia, imprese, commerci, istruzione, e ha fermato anche noi, che non vediamo l’ora di tornare alla frenesia di cui ci siamo sempre lamentati. Facciamo le cose che ci eravamo sempre ripromessi di fare, sistemare quell’armadio nell’angolo, fare giardinaggio, leggere libri, dipingere e, anche se non abbiamo impegni, il tempo non basta mai. In realtà, non vediamo l’ora di poter nuovamente rimandare quelle attività che ora riempiono le nostre giornate, in fin dei conti avere sempre qualcosa da fare è quasi confortante, è ciò a cui siamo abituati.

Credo che alla mia generazione quasi spaventi l’idea di fermarsi a riflettere su noi stessi e su ciò che ci circonda. Noi a differenza delle generazioni precedenti non siamo mai stati costretti a farlo, preferiamo occupare il nostro tempo con qualsiasi altra attività. Possiamo estraniarci da queste riflessioni grazie al web e occupare il nostro tempo in qualsiasi altro modo, ma a causa della quarantena le “via di fuga” diminuiscono drasticamente e rimanendo soli con internet veniamo “condannati” alla riflessione.