di Lisa Pinto

Tra falsi miti, complotti e consigli dietetici zoppicanti, l’informazione riguardo all’alimentazione è diventata un tema delicato e facilmente frainteso. I social spiccano per consigli poco scientifici e nutrizionisti improvvisati. In particolare, l’argomento “carne” apre dibattiti e dispute feroci: eliminare i prodotti animali è necessario, consigliato o totalmente inutile? La “carne” vegetale ha effettivamente senso? Gli allevamenti bio si possono realmente considerare tali? Le domande scorrono a fiumi, ma la situazione è complessa e articolata e, ovviamente, non ci si potrà soffermare su ogni dettaglio.

ALLEVAMENTI INTENSIVI

I polli che arrivano sulle nostre tavole provengono, per la maggioranza, da allevamenti intensivi. Per allevamenti intensivi si intendono le attività di crescita e produzione animale in luoghi prevalentemente chiusi, per un mercato di vaste dimensioni. Negli ultimi anni, questo metodo è stato condannato per la scarsa dignità riservata agli animali, inoltre è stato constatato che attualmente vi persistono molte prassi scorrette: alcune specie, che dovrebbero essere allevate all’aperto, trascorrono la vita stipate al secondo piano di capannoni, mentre altre vengono modificate geneticamente per ottenere i massimi guadagni, senza considerare i tempi di crescita dimezzati rispetto al passato.

TRA LEGGE E REALTÀ

Sia l’Unione Europea che la Costituzione italiana sanciscono il divieto di recare dolore fisico o psicologico a tutti gli esseri senzienti, animali compresi; nel caso sia necessario l’abbattimento, per motivi veterinari, questo deve avvenire nel modo meno doloroso possibile. Tuttavia la realtà si dimostra distante da quella che dovrebbe essere: alcuni impiegati, oltre a maltrattare gli animali, vengono perfino istruiti dalle aziende su come eseguire la torsione del collo nel caso notino casi di mancato incremento ponderale, ovvero una crescita più lenta rispetto a quella richiesta dal mercato.
Le gioiose immagini di polli che razzolano liberi per i prati di aziende biologiche, ecosostenibili e rispettose dell’ambiente sono costruite dalla pubblicità, alcune società, formalmente bio, non agiscono come tali: a darne testimonianza sono i capannoni pericolanti su più piani all’interno dei quali migliaia di polli sono ammassati senza vedere luce naturale, anzi, spesso le luci artificiali vengono lasciate accese giorno e notte per permettere agli animali di mangiare ininterrottamente e, in questo modo, di ingrassare più velocemente. Il rapido incremento di peso degli animali dipende anche dal loro limitatissimo movimento: per disposizioni veterinarie, che regolamentano il biologico, un terzo della vita di un animale dovrebbe essere trascorsa all’aperto. Una vita trascorsa completamente al chiuso, oltre ad essere una pratica disumana, comporta anche una perdita a livello nutritivo: l’omega 3 che caratterizza la carne bianca e le uova viene fornita dal nutrimento naturale e non può essere compensata dai mangimi integrativi.
Alle aziende, però, interessa il profitto a tal punto da manipolare geneticamente alcune specie per ottenere risultati terrorizzanti. Se in passato ci volevano sei mesi per allevare un pollo adulto, ora dopo 34 giorni è già pronto al macello. Il pollo broiler ne è un esempio lampante: dopo soli venticinque giorni raggiunge un peso tale da non riuscire a reggersi sulle zampe e finisce la propria vita in una vera agonia.
Ma si tratta solo della punta dell’iceberg, perché gli animali vengono nutriti con mangime OGM e sottoposti a continue vaccinazioni preventive che, oltre ricadere sul prodotto finale, contraddicono la realtà spesso mostrata nelle pubblicità.

ALLEVAMENTI INTENSIVI E IMPATTO AMBIENTALE

Che gli allevamenti intensivi siano moralmente ed eticamente spaventosi, dovrebbe ormai risultare un dato di fatto, ma essi gravano anche sull’ambiente. Gli stabilimenti, le strutture e tutto ciò che dipende da essi hanno un impatto ambientale neanche minimamente compensato dai benefici della loro presenza, come la disponibilità di posti di lavoro.
Gli abitanti delle zone circostanti avanzano quasi quotidianamente proteste per l’odore acre proveniente dalle aziende e per sintomi di nausea e irritazioni alle vie respiratorie. Anche alcune zone protette sono state minacciate dagli allevamenti: la riserva pluviale di Ripa Bianca, in provincia di Ancona, gestita dal WWF, è meta e luogo di passaggio di migrazioni di uccelli ma, per la costruzione di alcuni capannoni per l’allevamento, il delicato equilibrio è stato incrinato e la zona si è svuotata della maggior parte degli “ospiti”.CARNE

VEGETALE E SVILUPPATA IN LABORATORIO: PRO E CONTRO

Già da tempo prosegue lo scontro ideologico tra carne animale e vegetale, ma una nuova alternativa è apparsa sul mercato, scatenando il dissenso pubblico: la carne artificiale, sintetizzata in laboratorio. Nello specifico, di cosa si tratta?

CARNE PLANT BASED

La prima alternativa, già sul mercato da anni, è la carne vegetale, cosiddetta “plant based”. Diventati soluzione per molti vegetariani e vegani, questi prodotti si basano su due tecniche principali: l’estrusione a umido, che come unici ingredienti usa cereali, olio di canola, acqua e vitamina B12; e la stampa in 3D, che riesce a riprodurre la struttura e la “trama” della carne.
L’apporto proteico è sicuramente inferiore rispetto a quello dei prodotti “originali” e ha un diverso valore nutrizionale, il che il rende inadatti alla dieta di bambini e adolescenti, se non accostati anche a proteine animali.

CARNE ARTIFICIALE

È evidente, perciò, che sostituti vegetali non completano totalmente la lacuna lasciata dalla mancanza di prodotti animali, tuttavia, purtroppo, la produzione di carne attuale non basterà a soddisfare la richiesta continuamente crescente. Si stima, infatti, che da qui al 2050 la richiesta di carne rossa aumenterà del 50% perciò cadremo in una delle crisi produttive peggiori della storia. Sarebbe bello creare tonnellate di cibo da una singola cellula, ma ciò è impossibile… o forse no.
È proprio da qui che inizia un dibattito che ha acceso molti spiriti: il futuro della nostra alimentazione è nella carne artificiale?
Quel che più incuriosisce è sicuramente come, da una singola cellula, si possano ottenere tonnellate di carne che riproducano perfettamente struttura e sapore dell’originale. Tutto inizia con una biopsia, durante la quale vengono prelevate alcune cellule staminali dell’animale; queste sono fatte crescere in un liquido ricco di nutrienti all’interno di bioreattori.
I vantaggi consistono in una minore emissione di gas serra, un minore consumo di acqua, la diminuzione di epidemie come l’aviaria e l’eliminazione degli antibiotici nella carne: a livello salutare, assumendo costantemente antibiotici, il corpo ne diventa progressivamente immune e, nella peggiore delle ipotesi, molte malattie oggi innocue grazie agli antibatterici potrebbero diventare nuovamente pericoli effettivi nel futuro. Oltre tutto anche gli animali ci ringraziano…
Per quanto possa essere entusiasmante moltiplicare carni e pesci, non tutti sono sostenitori dei nuovi metodi. A sfavore della carne artificiale c’è l’utilizzo intensivo di energia, specialmente di elettricità, per alimentare costantemente i bioreattori. Poi i posti di lavoro creati dagli allevamenti che queste attività offrono verrebbero decimati, perdendo occupazione. Inoltre, poche multinazionali deterrebbero il potere sul mercato, schiacciando le piccole aziende. Il punto più preoccupante, però, rimane lo sguardo verso il futuro: non ci sono test sul consumo per lunghi periodi, quindi il timore è se, dopo un consumo prolungato, potrebbero esserci ricadute sulla salute.

La questione, quindi, non è obbligatoriamente approcciare una dieta vegetariana o vegana, ma essere più consapevoli dei prodotti che si acquistano, di come vengono realizzati e delle alternative che possono renderci dei cittadini e acquirenti più consci, informati e attenti alle scelte intraprese, per il bene degli esseri viventi e del pianeta che ci ospita.

Fonti:
report (09/01/2023)
mi manda rai tre (20/11/2022)