di Ginevra Beltrame (collaboratrice 5^D)
“Non c’è comunque nessuno che pur con l’applicazione non riesca a conseguire nessun risultato”. Incontrando questa frase nell’ambito della pedagogia, e in particolare nel contesto di una concezione ottimisticamente egualitaria delle capacità di apprendimento di ogni individuo, difficilmente verrebbe a prima vista attribuita a un autore latino. È infatti più probabile che sia ricondotta a un pensatore illuminista, se non addirittura a un moderno studioso di scienze dell’educazione, ma si tratta in effetti di un esempio della straordinaria modernità delle idee di un maestro di retorica vissuto nella Roma imperiale. Marco Fabio Quintiliano, già durante la sua epoca riconosciuto come un insegnante estremamente capace, dedica un’ampia sezione del proprio trattato sull’arte dell’oratoria alle prime fasi dell’educazione del retore ideale, la quale deve essere curata dalla famiglia sin dall’infanzia. In questa sede l’autore esprime la convinzione che tutti gli individui siano potenzialmente portati all’apprendimento e alla cultura, poiché è nella natura dell’uomo avere “uno spirito sagace e attivo”. E trattandosi il I secolo d.C. di un’epoca in cui la schiavitù non era una pratica rara o condannata e in cui l’educazione era un privilegio concesso ai pochi, sempre e comunque maschi, con i mezzi necessari per poterla pagare, una posizione così innovativa e anticonformista è ancora più degna di nota. È però indubbio che, pur nella generale uguaglianza per quanto riguarda l’intelligenza nella sua forma basilare, individui differenti abbiano inclinazioni e interessi diversi, ed è qui che il pensiero di Quintiliano rivela tutta la sua attualità. Egli raccomanda infatti l’attenzione all’indole e alle modalità di apprendimento specifiche di ogni allievo, nella ricerca di una strategia educativa personalizzata che lo ponga al centro del proprio processo formativo, pur senza rinunciare alla dimensione collettiva della scuola pubblica. In questo ambito l’autore è un sostenitore entusiasta dell’istruzione come occasione di socializzazione e crescita personale degli alunni, che dal confronto con i coetanei possono trarre delle amicizie durature oltre che una spinta a migliorare negli studi e un ottimo allenamento per la vita di continue relazioni sociali che li aspetta nel caso decidano di intraprendere la carriera politica.
Il tema della scuola come contenitore privilegiato di relazioni interpersonali è particolarmente importante al tempo del coronavirus, in quanto le misure sanitarie atte a limitare la diffusione del contagio impediscono necessariamente la frequentazione di ogni luogo di aggregazione. È quindi necessario non dimenticare ciò che già Quintiliano affermava e trovare soluzioni affinché i momenti dell’educazione di gruppo non siano privati della loro essenziale componente relazionale, sia tra compagni di classe sia con gli insegnanti stessi. E anche per quanto riguarda il rapporto tra studenti e docente, l’autore dà prova di precorrere notevolmente i tempi, proponendo un modello che poco ha a che fare con quello del severo e intransigente precettore legato all’insegnamento nozionistico e alla durezza nelle punizioni. Il suo “buon maestro”, pur conservando un’autorità indiscussa che gli consente di mantenere la disciplina nella classe e assicurare il profitto degli alunni negli studi, assomiglia semmai alla figura dell’educatore proposta da Socrate, un uomo saggio che non abusa della propria posizione e sa mantenere un clima di fiducia e rispetto reciproco con gli studenti. Inoltre la sua irreprensibile condotta morale funge da esempio etico per i giovani, che possono esserne influenzati positivamente e interiorizzare un solido sistema di valori parallelamente alle regole della grammatica e all’arte del parlare. La modernità del pensiero di Quintiliano si declina infine nell’importanza che egli attribuisce alla dimensione dello svago ricreativo, occasione di necessario rigenerarsi delle facoltà mentali provate dalle ore passate sui libri, ma anche e soprattutto di apprendimento e stimolo delle proprie capacità intellettive in una forma più leggera e accattivante, poiché “lo studio si basa sul desiderio di imparare, che non può essere fatto oggetto di costrizioni”.
In conclusione, tutti questi insegnamenti possono senza dubbio rivelarsi preziosi ed efficaci anche nella società odierna, e gli spunti forniti da Quintiliano, ora più che mai, possono essere fonte di idee mai banali per un ripensamento della scuola in chiave più egualitaria e collettiva, atto a riprenderne le caratteristiche fondamentali messe in discussione dall’introduzione, forse troppo affrettata, di un metodo di didattica a distanza non ancora pronto a sostenere il peso dell’intero sistema di istruzione.
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