di Elisa Marangoni, 5D
LEOPARDI
In un passo dello “Zibaldone” Giacomo Leopardi identifica la felicità con la ricerca, la scoperta e l’impegno dell’individuo verso lo scopo della propria vita. Il tema della felicità e la sua definizione costituisce l’obiettivo della “teoria del piacere” leopardiana. In questa teoria, contenuta nello “Zibaldone”, Leopardi associa il piacere al vago: ciò che è vago e indefinito è fonte di piacere in quanto stimola l’immaginazione creando la possibilità del piacere stesso. Il piacere risiede, quindi, nell’attesa del piacere più che nel godimento di esso, come traspare anche da “Il sabato del villaggio”. La felicità è il “piacere assoluto”, irraggiungibile e inafferrabile in quanto infinito, ma la cui ricerca provoca piaceri finiti. Secondo la teoria del piacere, la felicità umana può essere intesa come un costante equilibrio tra immaginazione, fonte di piacere finiti, e ragione, fonte di realismo e insoddisfazione. La visione leopardiana non è così pessimista come si tramanda, ma lo diventa solo in seguito all’ interrogativo del poeta sull’effettiva possibilità di tale equilibrio, che lo porterà a concludere che il piacere assoluto risulta inafferrabile e il suo conseguimento è fonte di noia e dolore, non più di piacere momentaneo.
ROMANTICI
Il complesso pensiero leopardiano si inserisce nel contesto romantico, con cui, seppur il poeta non lo ammetterà, ha dei grandi punti di incontro.
Il Romanticismo, quale movimento volto all’esaltazione del sentimento come guida dell’agire, pone considerevole importanza nella ricerca e nel godimento del piacere istantaneo. L’ideale romantico, tuttavia, non propone un vano passaggio “di godimento in godimento” o “di trastullo in trastullo”, ma è anch’esso un complesso sistema verso la ricerca dell’agognata felicità.
La felicità romantica è il superamento di se stessi: i romantici individuano il fine ultimo dell’uomo nel ricongiungimento con l’Assoluto, un ente infinito in continuo divenire, in cui oggetto e soggetto si uniscono. L’Assoluto è, per definizione, inafferrabile e, di conseguenza, lo è anche la felicità.
Questa impossibilità della felicità è ciò che crea l’insoddisfazione caratteristica del periodo romantico, che porta all’abbandono ad una vita volta al conseguimento di piaceri finiti ed effimeri.
Tale rinuncia ad un fine superiore non è, però, l’unico modo di reagire all’inafferrabilità dell’Assoluto: molti filosofi e pensatori romantici vedono l’infinito come l’incentivo a uno sforzo continuo verso il superamento del negativo, un processo senza fine, ma ugualmente gratificante.
Quindi, seppure i romantici possano apparire come dissoluti, non bisogna sminuire il pensiero alla base del piacere romantico, riducendolo a puro edonismo.
IKIGAI
Una teoria più attuale, seppur di antichissima origine, è l’idea giapponese dell’ikigai. Il termine “ikigai” viene spesso tradotto in “felicità”, ma ha vari significati: “Iki” significa “vivere” e “gai” “ragione” e insieme identificano “lo scopo della vita dell’individuo”, ma anche “ciò che è pienamente allineato con l’anima, la mente e l’indole di una persona” o “la ragione per svegliarsi la mattina”. Il concetto di “ikigai” spinge l’individuo alla scoperta di se stesso, allontanandolo da tutto ciò che è imposto o insegnato dall’esterno, per poter comprendere in maniera pura ciò che porterebbe soddisfazione, gioia e orgoglio alla persona. Questo concetto antichissimo è perfettamente in linea con le parole di Leopardi ed è attualissimo nel far comprendere la felicità come concetto personale, che risiede nell’equilibrio tra i bisogni dell’individuo, le sue passioni e le sue capacità.
FELICITÀ. CHE COS’È? DOVE RISIEDE? O, PIÙ PROPRIAMENTE, ESISTE?
La felicità è uno dei concetti più complessi che l’uomo abbia mai creato: l’umanità da millenni cerca di definire questo concetto senza mai raggiungerlo pienamente. L’uomo si interroga sulla felicità per tutta la sua vita, ma il momento più complesso è la giovinezza. Adolescenti e giovani adulti indagano il senso della vita con poche e limitate esperienze, trovandosi persi di fronte all’infinità del dibattito sulla felicità.
La concezione giovanile attuale della felicità è un concetto inafferrabile nella sua pienezza, ma che risiede da qualche parte nell’equilibrio tra le necessità, come il lavoro e lo studio, e i sentimenti umani di gioia, soddisfazione, rispetto, orgoglio, affetto, che non possono che derivare dal conseguimento di uno scopo. Purtroppo l’astrattezza del concetto di felicità porta a domandarsi se essa sia possibile, o se addirittura esista, e i giovani non sono gli unici a tendere ad abbandonarsi alla ricerca di piaceri istantanei, scoraggiati dall’immensità del concetto di felicità.
La felicità del “vissero per sempre felici e contenti”, come condizione di imperitura gioia, non può esistere in un mondo reale complesso e cangiante, ma si può lavorare al conseguimento di uno stato di generale sicurezza, soddisfazione e relazioni che ci permetta di godere dei momenti belli e affrontare con coraggio quelli pesanti vivendo una vita degna di essere vissuta.
Scrivi un commento