di Sara Candussio
L’intervento “Tra terra e cielo Petrarca: frammenti di una grande confessione”, a cura dell’attore Emanuele Carucci Viterbi del CSS, il Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia-Giulia, ha avuto come fulcro l’analisi psicologica del poeta attraverso i suoi scritti.
Tutti conoscono Petrarca come uno dei più famosi uomini del Trecento, un “tuttologo” che spaziava dalla scienza alla politica, ma la cui vera passione era la poesia così tanto da farsi incoronare poeta a Roma, fatto che “era una specie di Nobel per la letteratura dell’epoca”, come ha tenuto a precisare Carucci Viterbi. Ma dietro l’uomo straordinario che l’apparenza disegna, si cela un uomo lacerato, irrequieto e inquieto, sempre in bilico, appunto, tra il cielo (il cammino spirituale intrapreso) e la terra (la sua passione per la vita e per i suoi desideri). Fu proprio questa frattura profonda nel suo animo, questa duplice natura ad offrirgli “su un piatto d’argento” la chiave del suo successo, quella sua ammirevole capacità di innovare.
Petrarca fu infatti il primo a concepire le emozioni interne all’animo umano come una forma d’arte, forse la più alta che potesse esistere: nessuno dei poeti antecedenti aveva dato così tanto peso al conflitto interiore dell’essere.
Il poeta, come tutti, chi più e chi meno, era in bilico tra l’ideale e il reale, tra ciò che voleva e ciò che poteva possedere, una disproporzione ancora attuale, una disproporzione che corrode e uccide lentamente l’anima.
Nel tentativo di risolvere questo diverbio interiore Petrarca scrisse il Secretum, dialogo interiore tra la parte “celeste” di sé, immaginata in Sant’Agostino, e quella “terrena”, personificata dallo stesso Petrarca, che rappresenta l’esempio della continua contraddizione della parte umana del poeta, che cambia spesso idea guidata dall’opinione stabile del santo.
Viene infatti raccontato che il poeta era imprigionato da due pesanti catene: l’amore e la gloria. Petrarca difatti trovava conforto e serenità in questi due aspetti della sua vita, così da non riuscire a realizzare di privarsene. L’uomo voleva infatti essere il meglio di quello che poteva essere, lasciare un segno dietro di sé, far sì che le sue opere fossero viste straordinarie anche in futuro. Agostino lo confuta chiedendogli cosa cercasse quando chiedeva di ricevere fama, visto che essa non era altro che un pettegolezzo sulle bocche delle persone che Francesco disprezzava tanto. Questa affermazione lascia il poeta spiazzato, accompagnata dalla propria affermazione sottolineata dal fatto che lui non volesse primeggiare, bensì essere mediocre, in seguito all’ennesima confutazione del santo che ricordava la difficoltà di inseguire la gloria, una via piena di ansie e miserie.
La fama risulta giusta e onorabile solo in proporzione al suo essere ombra della virtù, di conseguenza l’uomo virtuoso riceve gloria perché non rinuncia a se stesso per inseguirla ciecamente.
Il fatto che per il poeta fosse inutile piacere a chi non gli piaceva si ritrova in una lettera destinata al fratello in cui gli ricorda quanto fossero schiavi delle mode da ragazzi, e chiude chiedendosi a chi dovevano piacere così curati.
Il poeta scrisse anche una moltitudine di lettere, tra cui è ricordata quella ad un suo amico di Avignone, in cui espone la sua sensibilità da ragazzo, che superava pure quella dei suoi professori che non coglievano come lui l’importanza dell’analisi psicologica di un testo latino. Nella lettera si trova in particolare l’attenzione al tema della fugacità della vita umana, presente soprattutto in autori come Ovidio o Seneca.
Ma il poeta trae insegnamento da questi concetti sottovalutati, li fa suoi, ed è da ricordare questa frase per quanto riguarda la sua mancata capacità di spiegare agli adulti il mondo che vedeva dietro a “semplici” parole da analizzare: “non sapevo infatti esprimere quello che sentivo dentro”.
La più grande opera del poeta però fu il Canzoniere, la cronaca dell’anima di Petrarca.
Qui è evidente il tormento del poeta, innamorato di Laura, incontrata il 6 aprile 1327 in chiesa, che esprime con sonetti e canzoni che seguono un’evoluzione ben chiara: la felicità dell’incontro, il ricordo, il dolore, la furia, il rinnegamento dell’amore provato e la trasfigurazione del sentimento in qualcosa di alto e di celeste.
Il percorso di Petrarca è dunque storia di un uomo che non è mai stato capace di trovare una pace con se stesso (ironico e forse voluto, l’ultima parola del Canzoniere è appunto “pace”) e che ha fatto del fuoco che gli bruciava dentro il suo più grande potere, ottenendo un successo ancora oggi riconosciuto come epocale.
L’uomo devastato, però, non odiava la vita, ma la amava: la natura e tutte le sue sfaccettature, l’anima, l’ingegno, la memoria, la capacità di parlare sono tutte cose meravigliose di cui essere grati.
Un aspetto positivo del poeta fu infatti la sua capacità di trovare una piccola luce anche nell’ ombra più buia.
La letteratura per lui fu una passione tale da non abbandonarla nemmeno in tarda età, nemmeno quando l’amico Boccaccio gli propose di smettere di scrivere e di studiare: scrivere e leggere, per lui, erano linfa di vita. La fatica e le ansie della propria vita erano incanalate e sfogate nella scrittura, che rispecchiava gli avvenimenti che lo turbavano: per un uomo sospeso tra terra e cielo, scrivere era l’unico modo per non perdere la testa.
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