di Arianna Oian

Lo scorso 7 marzo la professoressa Bonato, insegnante di filosofia al Liceo N. Copernico di Udine e presidente della Società Filosofica Italiana, ha tenuto in Aula Magna una conferenza su un argomento molto sentito, discusso e affrontato negli ultimi anni: il femminismo. Un atteggiamento di emancipazione sociale e lavorativa, un desiderio di uguaglianza tra donne e uomini, la consapevolezza e la sicurezza del proprio valore all’interno della collettività.

Dove nacque però il femminismo? È un movimento recente o antico?

Le origini di questi ideali si trovano nel 1800 con le suffragette, prime combattenti per la valenza del sesso femminile in Inghilterra e negli Stati Uniti con la “prima ondata” femminista. Senza dubbio la più efficace fu la seconda negli anni ‘60, prima nata in America del Nord e poi diffusasi in tutta l’Europa occidentale. In seguito alla fine delle guerre mondiali e ad una situazione più sicura all’interno dei paesi occidentali, si scoprì un nuovo bisogno all’interno delle comunità femminili, specialmente americane. La donna era stata scoraggiata, nascosta, rifiutata e dimenticata dal mondo dell’istruzione e del lavoro. Maschi e femmine potevano fare lavori diversi e alcune posizioni dirigenziali potevano essere coperte solamente da direttori maschili; infatti anche donne laureate, colte, istruite, pronte ad immergersi nella politica o nel mondo lavorativo decisero di abbandonare le loro aspirazioni e di restare nascoste tra le mura di casa. Non tutte, però, accettarono questa condizione: durante le guerre, con i mariti partiti alla volta del fronte, rimasero sole a proseguire i compiti svolti dagli uomini all’interno dei diversi Paesi. La consapevolezza del loro valore riecheggiò e non furono più nascoste dalle figure dei mariti. Il compito della buona signora non fu più solamente accudire i figli, tessere e seguire ciecamente gli ordini del proprio consorte. No, una donna intelligente, forte, poteva occupare un ruolo importante nel mondo e diventare qualcuno. Ormai nessuna si figurava completamente nella definizione tradizionale e molte vollero far sentire le loro voci. “La seconda ondata”, così chiamata perché la prima fu quella delle suffragette nel 1800, reca i nomi di importanti scrittrici che portarono il nome di questa lenta, ma potente rivoluzione: Betty Friedan con “La mistica della femminilità”, Kate Millett con “La politica del sesso”, dove viene descritto il rapporto sessuale come mezzo per ottenere potere anche attraverso la critica ad alcune teorie di Freud e a scrittori antecedenti, la nota scrittrice inglese Juliette Mitchell, la quale scrisse “The Longest Revolution”. Questi sono solo alcuni dei nomi più importanti del femminismo degli anni 60/70, diffusosi soprattutto in Francia con Luce Irigaray e in Italia grazie a Carla Lonzi e Luisa Muraro. Grazie a queste donne nacquero vere associazioni all’interno di alcuni paesi, che riuscirono a far sentire il femminismo nel mondo culturale e sociale. Le donne iniziarono così a contare.

La terza ondata è quella che viviamo quotidianamente: una lotta vivace e dinamica, come è sempre stata, alla ricerca della riconoscenza della figura femminile nella società mondiale. Siamo diversi uomini e donne: abbiamo mentalità diverse, gusti diversi, ma a livello legale e professionale siamo uguali. Questo significa essere femministe: credere in un’uguaglianza sociale, senza perdere la propria consapevolezza. Ormai, sia nel mondo letterario sia in quello cinematografico, figure di rilievo internazionale cercano di diffondere questo messaggio grazie alla loro notorietà. Purtroppo il mondo femminista e d’emancipazione è ancora riservato all’Europa e all’America del Nord; in Asia, Africa, Oriente e Sud America la figura femminile ha invece esclusivamente un ruolo subordinante, schiava della potenza maschile. Queste comunità sono diverse, le tradizioni sono complesse e difficili da cambiare. Ma vi sembra giusto tutto ciò? Non dovremmo tutti contare nello stesso modo e con la stessa dignità? Forse le donne emancipate spaventano gli uomini, essi temono la fermezza e la loro forza, ma senza un cambiamento significativo nulla potrà veramente mutare. State certi, però, che le donne non taceranno più e che, volenti o nolenti, dovrete ascoltarle e apprezzarle, altrimenti… accadrà la vera catastrofe e non saremo più esseri pensanti, ma bestie.