di Elisa Lazzarato, 5D


“Ritieni che la vita assuma significato nella ricerca di obiettivi, nel porsi un fine o in una carriera?”
Dalla mia esperienza personale la risposta a questo quesito insorge decisa e non mi lascia alcun tipo di ripensamento. NO; non condivido l’idea che la felicità stia nell’avere degli obiettivi o in una carriera.

La mia generazione è nata in un mondo che ci vuole adultizzare il prima possibile fornendoci numerosi strumenti avanguardistici, ma senza lasciarci il tempo per crescere. Ci ritroviamo così, adulti anagraficamente ma completamente allo sbaraglio rispetto al futuro. Paradossalmente, tanti più mezzi riceviamo dall’esterno (internet/social media), tanti meno ne sviluppiamo noi.
La costante pressione nell’avere sempre un programma da perseguire, delle tappe da raggiungere e dei risultati da soddisfare può portare certo ad una tenacia spiccata, ma facilmente a momenti bui (causa ritmi biologicamente insostenibili).
Questo si è visto e dimostrato con l’arrivo della pandemia: noi tutti abbiamo visto in pochi istanti il nostro futuro (o meglio l’idea creata da noi stessi del futuro) traballare, se non addirittura sgretolarsi.
Io personalmente mi sono resa conto che tutti questi mezzi e programmi che pensavo possedere altro non erano che frutto di ambizioni altrui, ricerca di approvazione e appiattimento verso standard da me condivisi.
La dimostrazione è data da cifre statistiche: le ospedalizzazioni e i ricoveri in età adolescenziale (tossico dipendenze, suicidio, atti autolesivi, disturbi del comportamento alimentare, overdose, e la lista continua…) sono aumentati esponenzialmente, tutto ciò perchè noi ragazzi ci siamo chiesti a chi appartenesse realmente questo “fine per viver felice”; era parte dei nostri obiettivi o era volto a soddisfare degli standard di una società che cambia troppo velocemente?
La carriera da medico ti affascina o farebbe felice tuo papà?
E una laurea in ingegneria soddisferebbe di più te stessa o il tuo professore di matematica?
Ed essere motivato e DIPENDENTE da questa costante sete di perfezionismo che ormai è diventata normalità, appaga te o gli altri?
Quanto ancora riuscirai a mantenere questi ritmi prima di crollare?
Queste sono le riflessioni che la quarantena mi ha donato, e sì, mi hanno fatto stare male, malissimo, perchè ho capito che io di me e del mio futuro non so nulla; ma come fai a porti degli obiettivi se non sai chi sei?
Ecco, io mentre cercavo una risposta, mi sono persa, mi sono lasciata scivolare e sono caduta anche io in quei numerini che tutt’ora continuano a crescere.
Ho compreso che ad oggi la felicità IO la troverei proprio in quei momenti inaspettati fuori da ogni programma o magari nati addirittura dal fallimento nel completare un progetto in cui mi ero in precedenza incastrata.

Qualche anno fa ho letto il libero “L’arte di essere fragili: come Leopardi può salvarti la vita” di Alessandro D’Avenia, dal quale ho compreso che anche una debolezza può in realtà celare una grande forza ed una nuova possibilità; per esempio il non avere obiettivi troppo serrati può trasformarsi nell’opportunità di poter scegliere diverse strade.
Penso anche, però, che questa idea vada plasmata in relazione al momento che stiamo vivendo. Un adulto necessita di piani per il futuro maggiormente rispetto ad un bimbo. Ritengo infatti che il tutto vada posto in correlazione al grado di responsabilità: maggiori sono i doveri, più dettagliati dovranno essere i piani d’azione.
A 18 anni un ragazzo può cominciare a pianificare il suo futuro, ma senza divenirne schiavo, ed anzi, approfittando di questi ultimi “attimi di libertà” per commettere più errori possibili da cui imparare lezioni per il futuro.

In conclusione posso affermare che Leopardi nel mio pensiero ha uno spazio, ma piccolo e limitato.
E’ vero, bisogna avere dei progetti per il futuro, non si può vivere improvvisando, ma allo stesso tempo la felicità, secondo me, sta nel trovare quel dettaglio che non avevi pianificato; quel piccolo sentiero che non avevi nemmeno visto perchè troppo impegnato a guardare la cima.
Io alla mia generazione (e quelle future) auguro di saper mollare la presa ogni tanto e di permettersi di improvvisare e uscire dagli schemi, anche a costo di inseguire mete differenti rispetto alle aspettative altrui; anche a costo di fallire un progetto di cui forse forse, in fondo, non eri nemmeno tu il destinatario.