di Beatrice Ciancarella

I campi di concentramento nazisti erano campi di sofferenza e morte, e in quei luoghi terribili, come il campo di Auschwitz in Polonia, medici conducevano esperimenti sugli uomini senza alcuna morale; in occasione della Giornata della Memoria ricordiamo i morti e associamo a loro questi angeli della morte, mostri che vedevano ebrei e altri deportati come illimitate cavie per i loro studi. Questo è ciò che siamo abituati a pensare, tuttavia raramente si riflette sul fatto che questi medici eseguivano ricerche scientifiche. Pertanto, considerando la ricerca come sviluppo indubbiamente positivo dell’intelletto umano, sorge naturale chiedersi a quale costo gli uomini nella storia perseguirono il progresso.

La domanda è stata posta da Sara Candussio e Alessandra Iurasek, le quali hanno organizzato e moderato l’incontro Il paradosso del progresso al Saccottino letterario che si è tenuto durante l’assemblea d’istituto del 26 gennaio scorso. Intrigati dal titolo, numerosi copernicani si sono presentati nell’aula dove si teneva l’incontro e sono stati accolti da saccottini e dai waffle di Domiziana Londero; l’afflusso consistente ha sorpreso, ma non altrettanto soddisfacente è stata la partecipazione attiva dei ragazzi.

La discussione si è aperta con il video di un’intervista ad Alberto Mieli, uno dei pochi sopravvissuti ad Auschwitz ancora in vita, seguito poi dall’introduzione dell’argomento condotta da Sara Candussio. I nazisti eseguivano segretamente esperimenti su uomini all’interno dei campi di sterminio riguardo molteplici aree, tra cui la sterilizzazione di massa, il trapianto di organi sessuali come “cura” all’omosessualità, studi sul congelamento, sui gemelli monozigoti per preservare la razza, sulla sopportazione del corpo alla pressione ecc.; molte ricerche erano finalizzate a migliorare le penose condizioni legate alla salute fisica dei soldati tedeschi al fronte russo. Le SS reclutavano, perciò, medici e ricercatori a cui veniva ordinato di condurre studi atroci su esseri umani trattati peggio che cavie animali. Questi medici potevano anche essere persone normali e talvolta temevano ripercussioni da parte del governo; magari, tra uomini spietati e uomini codardi poteva esserci chi aveva una famiglia da sostenere e la responsabilità della patria e contemporaneamente la responsabilità della sopravvivenza di persone che il regime non considerava degne della vita. Così le moderatrici attraverso tale provocazione hanno portato alla riflessione i partecipanti con l’intento di comprendere, ma non giustificare; esse hanno proposto di immedesimarsi in questi uomini che accettarono un compito, certamente disumano, ma che avrebbe potuto salvare i compatrioti che combattevano al fronte, gli affetti famigliari e, nondimeno, se stessi da un regime crudele e brutale.

Gli interventi, seppure limitati, hanno fatto emergere varie riflessioni. Da una parte è emerso che in una scelta simile è impensabile determinare ciò per cui sarebbe giusto optare e, in quanto uomo irrazionale, ognuno sarebbe portato verso quello a cui tiene maggiormente, che siano gli affetti familiari o la propria etica. Altre opinioni hanno sottolineato che, come rivela Hannah Arendt in La banalità del male, chiunque, senza necessariamente essere mostro, può trasformarsi in un criminale atroce quando l’ordine, l’ideologia ottenebrano la coscienza individuale.

Alessandra e Sara hanno voluto concludere l’incontro riportando una notizia recente, riferita da alcuni sopravvissuti, secondo cui in Nord Corea moderni angeli della morte stanno svolgendo esperimenti simili a quelli ordinati dalle SS. Non solo storia, dunque, e da qui l’invito agli studenti di un liceo scientifico a riflettere fino a quale limite l’aspirazione della ricerca può spingersi, a riflettere sul paradosso del progresso.