Emanuele Cappelletti
Il 27 febbraio in redazione è intervenuto l’avvocato Francesco Bilotta che ha voluto parlare del rapporto tra diritto e cambiamenti sociali, ma soprattutto di diritto come mezzo del cambiamento sociale. Poiché la percezione collettiva del diritto è vista come una materia tecnica che conoscono in pochi, e che soltanto alcuni sono tenuti a conoscere in maniera approfondita, non si capisce bene se le persone comuni che non sono tenute ad avere competenze di carattere giuridico debbano o meno essere interessate a questo fenomeno sociale chiamato diritto.
Lo scopo dell’avvocato era cercare quindi di spiegare che ciò che noi intendiamo per diritto, ossia un insieme di norme scritte che devono essere imparate a memoria con un linguaggio “spesso un po’ sacerdotale”, in realtà è un’esperienza sociale condivisa da tutti.
Il diritto assolve a una funzione che è quella dell’organizzazione del nostro stare insieme. Un detto latino diceva “Ubi societas ibi ius“, cioè ovunque c’è un gruppo sociale qui c’è il diritto, quindi non si può fare a meno del diritto se c’è un gruppo sociale che noi dobbiamo organizzare. L’alternativa, se non ci fosse questa organizzazione nel gruppo sociale, sarebbe il conflitto la cui soluzione si conosce fin dai tempi della pietra ed è la violenza. Per evitare quindi una soluzione violenta l’uomo si è inventato questo strumento di risoluzione del conflitto: il diritto.
L’articolo 2 della Costituzione dice ” La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo” e l’avvocato si è soffermato sui due verbi, dicendo che non basta riconoscere il diritto, questo deve poter essere vissuto nella concretezza della propria quotidianità. Ciò vuol dire che la repubblica, dopo che ha riconosciuto un diritto al cittadino, deve metterlo nelle condizioni di poter esercitare quel diritto.
Se la Convenzione europea dei diritti umani dice che ci sono dei diritti fondamentali e il legislatore italiano non fa niente per farli esercitare, il cittadino non può arrendersi con un pazienza. “Questo è l’atteggiamento dei sudditi” ha riportato Bilotta “noi non siamo sudditi, ma una democrazia e siamo dei cittadini, il che vuol dire che abbiamo degli strumenti diretti e indiretti di pressione sul legislatore. Anche un “no” da parte del giudice rende osservabile il vuoto di tutela che altrimenti le persone non vedono”.
I diritti fondamentali attengono anche ai profili della nostra vita che non sono importanti solo soggettivamente ma anche oggettivamente. Nella maggior parte dei casi sono condotte che, se realizzate, danno un senso profondo alla vita delle persone oppure, se non vengono realizzate, consentono alla persona di vivere pienamente la propria libertà, Perciò il cittadino non può rinunciarvi e dire “vabbè ci penserà qualcun altro”. E noi come ci poniamo rispetto a queste cose? Ricordiamoci che il diritto come regola di comportamento non coincidente con la legge, può essere uno strumento per assumerci direttamente o indirettamente la responsabilità sociale di cambiare le cose intorno a noi.
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