di Michele Motta (redazione)

Erri De Luca nasce a Napoli il giorno 20 maggio 1950. A soli diciotto anni si trasferisce a Roma dove entra nel movimento politico Lotta Continua – una delle maggiori formazioni extraparlamentari di orientamento comunista rivoluzionario – divenendone uno dei dirigenti attivi durante gli anni Settanta. In seguito, impara diversi mestieri spostandosi molto, sia in Italia che all’estero: compie esperienze come operaio qualificato, autotrasportatore, magazziniere o muratore. Durante la guerra nei territori della ex-Jugoslavia è autista di convogli umanitari destinati alle popolazioni. Come autodidatta approfondisce lo studio di diverse lingue; tra queste c’è l’ebraico antico, dal quale traduce alcuni testi della Bibbia. Come scrittore pubblica il suo primo libro nel 1989, quando ha quasi quarant’anni: il titolo è “Non ora, non qui” e si tratta di una rievocazione della propria infanzia trascorsa a Napoli. È anche collaboratore giornalista di diverse importanti testate giornalistiche tra cui “La Repubblica”, “Il Corriere della Sera”, “Il Manifesto”, “L’Avvenire”.

Qual è stato il motivo per cui si è avvicinato all’estrema sinistra? Ha cambiato opinione?
Sono stato coetaneo di una gioventù rivoluzionaria che occupava scuole e università, si scontrava con polizia, magistratura e poteri costituiti, veniva arrestata e condannata. La sua spinta mi ha coinvolto e formato il mio carattere politico. Sono convinto di avere fatto la cosa giusta in quel tempo insieme a molti. Sono perciò rimasto leale nei confronti di quelle scelte radicali.

Esiste ancora oggi una sinistra italiana?
Esista una blanda socialdemocrazia molto compromessa con i meccanismi di potere economico. La sinistra come espressione politica di valori e comportamenti riguarda il 1900. Esistono persone di sinistra, io mi annovero tra queste.

Lei scrive di argomenti molto diversi fra loro. Tutto ciò che scrive però è accomunato da un ampio spettro del lessico e un uso sapiente della metafora; dall’utilizzo di parole mirate ed esatte. Cos’è la scrittura per lei? Quando è diventato autore, si è sentito obbligato a scrivere? È cambiato qualcosa dall’Erri che scriveva per sé all’Erri che ha iniziato a condividere se stesso con altre persone?
Pretendo dalla mia scrittura che sia precisa, con proprietà di linguaggio. Racconto storie che non invento ma recupero dalla vita svolta, mia e di persone incontrate. Scrivo per tenermi compagnia dall’età di ragazzo, non considero questa attività un lavoro, anzi il suo lieto contrario. Scrivere è tempo salvato da giornate di tutt’altro lavoro. Scrivo quando ho spinta a farlo, non sono un impiegato della mia scrittura. Non riconosco differenza tra le storie che scrivevo prima che ne fosse pubblicata una e quelle successive. Non riconosco progresso, ma distanze.

Cosa significa per lei letteratura? Cosa vuole trasmettere? Chi vuole essere per i suoi lettori al di fuori dello scrittore De Luca?
Letteratura è quella che leggo, essendo più lettore che scrittore. Letteratura è quella che mi spalanca gli occhi, mi trasporta, mi isola, mi entusiasma. Da scrittore mi assegno il compito di tenere compagnia a chi mi sta leggendo e di farlo in misura ridotta, con storie brevi, perché sono un ospite che deve lasciare la stanza in anticipo, prima di essere di peso.

In Il peso della farfalla scrive: “Ci sono carezze che aggiunte sopra un carico lo fanno vacillare”. Quale è il suo carico? Ogni persona avverte il peso del presente, ognuno per la condizione in cui si trova. Lei come vive il presente?
Il mio carico sono gli anni e mi alleno fisicamente per portarli. Il presente per me è il giorno in corso e cerco di comportarmi meglio che posso. Non ho famiglia, dunque sono alleggerito di responsabilità.

In Non ora, non qui ho avvertito un senso di incertezza dell’esistenza, di scompiglio, di un’infanzia rapita e riconsegnata più tardi. Scrivere libera in parte perché ti aiuta a guardare il problema da un’angolazione diversa, ma non lo risolve. Ricollegandomi alla domanda fattale prima (Cos’è la scrittura per lei?), pensa che la scrittura aiuti, non nella creazione di un mondo proprio in cui vivere, ma piuttosto, a trovare un mondo attraverso cui riuscire a relazionarsi più intensamente con il prossimo?
La scrittura prevede la distanza tra se stessi e gli altri. Se una persona fosse nella stanza, nella casa, non le scriverei una lettera. Si scrive una storia da una distanza di tempo e di spazio, senza sapere a chi. Non aiuta, invece sostituisce la vicinanza, supplisce a un’assenza.

Una curiosità, suo papà che lavoro faceva?
Mio padre era un agente di commercio.

Vi è qualche autore o autrice che l’ha influenzata particolarmente?
Ho letto scritture grandiose, ma da lettore, non da collega minore dello scrittore. Nessuna delle mie letture felici si è introdotta di nascosto nelle mia scrittura.