di Carla Delle Vedove e Marcello Rossi
Jan Palach. La vita, il gesto e la morte dello studente ceca, libro scritto da Jiří Lederer, è l’unica biografia di Jan Palach presente in Italia. È stata pubblicata da Schena Editore nel 2019 ed è stata tradotta dal ceco da Tiziana Menotti, che si è spesso occupata della traduzione di libri da questa lingua. Jan Palach fu un giovane dissidente che nel 1969 a Praga si immolò dandosi fuoco per risvegliare le coscienze del popolo cecoslovacco, oppresso dal regime comunista.
Cosa l’ha colpita in particolare di Praga?
La città è fantastica. L’ho conosciuta agli inizi degli anni 2000 e mio malgrado devo dire che negli ultimi tempi il turismo di massa la sta snaturando. Per questo quando vado in Repubblica Ceca, se possibile, cerco di visitare i piccoli villaggi dov’è ancora presente l’identità del paese, che sta velocemente sparendo.
Ha avuto difficoltà nella pubblicazione del libro?
Quando trovai il libro, quasi nascosto nello scaffale più basso di una libreria, e decisi di tradurlo, ero convinta che molte case editrici avrebbero voluto pubblicarlo, perché è l’unica biografia di Jan Palach tradotta in italiano. Ma i principali editori non mi risposero nemmeno. Per questo motivo sono tornata da una piccola casa editrice, con cui avevo già pubblicato. Mi sono chiesta più volte perché le grandi case non volessero pubblicare. La risposta che spesso mi è stata data è: “per motivi politici”.
Ogni fazione politica cerca di prendere la figura di Palach e di plasmarla secondo le sue idee. In più molte testate non vogliono parlare di Palach perché, secondo loro, si è suicidato. Io credo fermamente che Jan Palach non sia un suicida, bensì che si sia immolato.
In Repubblica Ceca si parla di Palach?
Sì, certamente. L’anno scorso per l’anniversario (50 anni dalla morte, ndr) sono state fatte molte cerimonie. Anche subito dopo il suo gesto ci fu una forte eco in tutto il mondo. Vengo a sapere spesso che in città lontane da Praga sono state intitolate vie a Jan.
Cosa fanno i familiari di Jan?
Il fratello è ancora in vita. Mi piacerebbe mettermi in contatto con lui, per metterlo al corrente della pubblicazione.
Guccini, nella sua celebre canzone “Primavera di Praga”, cita Jan Hus, simbolo della dissidenza contro i regimi oppressivi e morto martire, vissuto a cavallo tra il XIV e il XV secolo. Trova che ci siano delle analogie tra questo personaggio e Jan?
Sì, anche nel libro un capitolo è dedicato a questa analogia. Ovviamente sono due figure diverse: Jan Hus era un prelato, accusato di eresia e messo al rogo perché si rifiutò di abiurare. Poi c’è la figura di Jan Palach, uno sconosciuto che all’improvviso diventò il simbolo della lotta contro il totalitarismo sovietico, affermando il valore della libertà.
È poco noto che Jan non fu il primo a immolarsi: un polacco lo fece nel settembre del ‘68 per protestare per l’invasione della Cecoslovacchia. Era un magistrato, ultra cinquantenne. Ma nessuno venne a saperlo per molti anni: il governo non aveva lasciato trapelare alcuna notizia, non si poteva venire a sapere.
Secondo lei l’ipotesi che Jan Palach sia stato scelto per immolarsi tramite un sorteggio con dei bigliettini era vero oppure no?
Pare che il gruppo che avrebbe fatto il sorteggio non esistesse e se esisteva era proprio piccolo. Probabilmente si è trattato di un escamotage per dare forza e spaventare dicendo che ci sarebbero stati altri giovani pronti ad immolarsi se chi era al governo non faceva ciò che veniva richiesto da Jan Palach. Gli storici però propendono più sul no che sul sì.
È stata anche fatta una campagna diffamatoria nei confronti di Jan Palach dopo la sua morte. Specialmente un deputato aveva diffuso la notizia che esisteva un gruppetto che aveva estratto Jan Palach per immolarsi, ma lui non voleva farlo, perciò era stato costretto. Secondo questa teoria, lui non sarebbe dovuto morire veramente, ma prima di darsi fuoco si sarebbe dovuto cospargere con una sostanza chiamata fiamma fredda che non ustiona quasi per nulla, e che quindi avrebbe dovuto salvarlo. Per questo motivo Jan Palach avrebbe accettato, ma il chimico avrebbe sbagliato creando una miscela esplosiva. Questo però pare che non sia assolutamente vero. È importante non credere a questa campagna diffamatoria perché Jan era un puro.
Ai giorni nostri vede qualche movimento simile a quello di Jan Palach? Vede delle analogie con le proteste di Hong Kong?
Vedo che a Hong Kong molte persone che protestano vengono picchiate e come nel caso di Jan Palach essi sono dei veri e propri martiri che preferiscono dare la loro vita piuttosto che tradire i propri ideali, ma penso che questo avvenga un po’ dappertutto. Io, ad esempio, ho in famiglia un sacerdote missionario per il quale è iniziata la beatificazione. Nel 1995 questo sacerdote in missione in Burundi è stato fatto inginocchiare ed è stato colpito con un colpo di pistola: per restare fedele alla sua religione ha quindi preferito morire.
Un’altra figura a cui tengo moltissimo è un altro sacerdote cecoslovacco, Joseph Toufar, di cui quest’anno ricorre il settantacinquesimo anniversario dalla morte. Anche lui è un martire del regime comunista cecoslovacco perché è stato imprigionato e torturato e alla fine è morto pur di non rivelare ciò che la polizia voleva sapere. Il mese prima infatti, durante la messa, era avvenuto un miracolo nella sua chiesa poiché la croce si era mossa. All’epoca c’era un forte braccio di ferro tra chiesa e regime, perché il regime voleva subordinare la chiesa. Il regime quindi, dopo averlo arrestato, voleva fargli confessare di aver costruito un marchingegno per far muovere la croce. Pur di non mentire egli ha preferito morire e per questo è iniziata la causa di beatificazione.
Fino a circa due anni fa sul muro dell’ospedale dove erano stati ricoverati sia Palach sia Toufar era presente un’opera di street art con entrambe le loro immagini: rappresentava due martiri, uno religioso e uno laico, affiancati. Oggi però – ed è un peccato – sono state rimosse.
Scrivi un commento