di Luca Iogna Prat (3D)
Sangue.
Caldo, denso, scuro.
Sangue.
Sangue? Di chi?
Sangue di ragazza.
Quale ragazza?
La tua migliore amica, la tua compagna di banco.
Tua sorella.
Tua figlia.
Che differenza fa, cosa ha importanza ormai, se non la brutalità, sempre maggiore, che l’uomo riversa, che soffoca il mondo?
Sangue!
Esce copioso, macchia il vestito e cola sulla mia impugnatura, sulla mano che mi brandisce con tanta foga.
La mia lama strappa il tessuto, trapassa la carne, lacera la pelle.
Lacera l’anima.
È questa la mia eterna dannazione.
Essere protagonista di così sconsiderate violenze… e non poter far nulla. In fondo non è differente, la mia posizione, da quella di tanti uomini, spettatori inermi, trascinati ad essere strumento e vittime di crudeltà e morte.
Inermi.
Detto da un’arma, un coltello, come me, suona strano.
Inermi.
Inermi?
Davvero siamo inermi, davvero non possiamo fare nulla per cambiare il corso degli eventi? Rifletto. Ma il tempo è poco.
Maledizione. Il tempo è sempre poco.
Poco è il tempo che ha avuto questa ragazza.
Poco è il tempo che le resta ancora.
Poco è il tempo che ho io, per provare a lasciare un segno, per una volta, che non sia una ferita.
Estratto dal corpo martoriato, fendo l’aria pesante.
Pochi, ma lunghissimi istanti sospeso nel vuoto per tentare di fuggire l’odio, la morte. E poi di nuovo giù, come una ghigliottina.
La seconda coltellata.
La ragazza crolla a terra, sul prato, e in quel cadere ho il tempo di osservare, di vedere. Vedo la bocca, sigillata.
Non un lamento, ma chissà quante parole strette tra quelle labbra: parole abbastanza forti per poter riscrivere la Storia, ma non tanto da riuscire ad uscire.
Vedo le mani, chiuse a pugno, strette con forza.
Una forza rivoluzionaria, capace forse di cambiare il mondo, ma non abbastanza per respingere l’odio.
Quelle mani che non sono state sorrette da qualcun altro nella difficoltà, che non sono state aiutate a contrastare la violenza, fisica e morale. Quelle mani che, proprio per la mancanza di aiuto, si trovano qui, ora, inermi davanti a tanta brutalità.
Poi gli occhi.
Gli occhi, specchio dell’anima, che riflettono una ferita ben più profonda di qualunque io possa causare.
Una ferita d’amore.
D’amore?
L’amore – si sa – spesso fa male, lascia il cuore spezzato, infranti i sogni… Spesso fa male, ma non così male.
Allora no: questo male, questa ferita non sono amore.
Sono altro: brutalità disumana.
Quegli occhi persi nel cielo, consapevoli del poco (troppo poco) tempo rimanente, dicono più di mille parole perse nel vento che soffia ogni giorno, anche oggi, ma non cambia la situazione, non scuote che le fronde degli alberi.
E poi il prato.
Una distesa d’erba verde lucente, incontaminata, che sta per essere violata da quel sangue ancora giovane.
Il prato, ancora bagnato dalla rugiada del mattino: gocce d’acqua scivolano lente lungo il gambo dei fiori, ne piegano lo stelo.
Lacrime.
Vedo lacrime in quelle gocce, vedo lacrime anche nella forma delle foglie degli alberi che ci circondano.
Lacrime sorelle di quelle che riempiono gli occhi della ragazza e li fanno luccicare al sole.
Sole? Non si vede il sole, oggi, nel cielo.
L’unica luce di una così buia giornata si nasconde anch’essa, rifiuta di assistere a tanto. Si alza ancora una volta la mano per sferrare il colpo fatale.
E in quell’attimo prima della fine, vedo una cosa che mi terrorizza più di tutto. Vedo un’anima, smarrita, scivolare in luoghi incolori e spogli, dove non potrà più trovare gli svaghi consueti. Così recita un’antica poesia: questo penso quando vedo una vita inghiottita dal buio della morte.
Ma non solo.
Quell’anima che scivola via piano piano porta con sé anche le vite di amici, parenti, compagni. Tutti i cari che si ritrovano nel cuore e nell’anima una ferita altrettanto profonda. Questo è quello che vedo, questo è quello che mi terrorizza mentre precipito verso quel corpo innocente, fendendo l’aria che fredda passa sulla mia lama.
E il pensiero si spegne.
Non per rassegnazione, non per evitare di soffrire.
Non chiudo gli occhi davanti alla violenza, anzi: il pensiero si spegne per lasciare spazio a qualcosa di più. Di più efficace, di più attivo, di più… potente.
Perché, se è vero che il pensiero da solo non può bastare, è vero anche che dal pensiero nasce ogni cosa.
Ora, però, il pensiero si fa da parte, giunto alla conclusione che non può esistere l’essere inermi, che non è possibile non poter fare niente: e allora finalmente quel termine viene spazzato via: inermi.
Il pugno, serrato, feroce, si abbatte per la terza volta, stringendo l’impugnatura, sulla ragazza. Ma la lama non affonda.
Anzi, la lama scompare, si dissolve in una nube di polvere e fumo.
Scompaio.
Trasportato dal vento, scomposto in piccolissimi frammenti che si perdono in aria, lascio sola quella mano, rossa di sangue e di rabbia, a colpire la ragazza, senza un’altra ferita. Impossibile?
Contro natura?
Ma d’altronde, la violenza non lo è? Non è essa stessa contro natura, non dovrebbe essere essa stessa fuori dalla normalità?
E per fermarla, cosa resta a noi da fare se non qualcosa di terribilmente difficile, a prima vista impossibile?
A tutti è richiesto qualcosa di più, qualcosa di fuori dall’ordinario, perché altrimenti non si può fermare la brutalità.
Altrimenti, restando chiusi nel cerchio della mera sopravvivenza, come faremo? Occorre uno sforzo in più.
Uno sforzo che nasca dalla volontà.
Volontà.
La forza della volontà, che mi ha portato a fare qualcosa di irreale.
Avrò eliminato quella brutale violenza?
Avrò fatto sparire per sempre ogni traccia d’odio?
Probabilmente no.
Purtroppo no.
Ma almeno per un attimo sono riuscito a fermarla, quell’onda travolgente di furore. E così ora sono qui.
Qui per raccontarti questa storia, lettore indifferente, qui per darti un monito per la vita. Per la vita.
Guarda fuori dalla finestra, il mondo solito al di là.
Guarda quel tuo orizzonte, che ti dà quella sicurezza familiare.
Pensa alle tue speranze, alle tue fantasie.
Ai tuoi sogni.
E ora pensa a quelli della tua migliore amica, della tua compagna di banco. Di tua sorella.
Di tua figlia.
Pensaci: immaginali rappresentati in quell’orizzonte fuori dalla tua finestra, così bello, così sicuro.
Poi pensa all’orizzonte che quella ragazza, distesa nel prato, vedeva ogni mattina. Pensi che fosse diverso dal tuo?
Da quello delle persone a te più care, delle ragazze che più ti stanno a cuore? Pensaci, e non smettere di pensarci.
Poi, lentamente, ritorna a quell’orizzonte, quel paesaggio ricco di speranze e di sogni, e lo vedrai svanire lentamente.
Guardalo sciogliersi al pianto della ragazza, guarda le lacrime solcarlo.
Guarda il sangue macchiare, sporcare, rovinare irreversibilmente ogni cosa.
Guarda, e non potrai restare indifferente.
Perché, ogni volta che ti affaccerai alla finestra e vedrai quel tuo orizzonte, sentirai – come un lamento – un pianto lontano, distante, che ti farà pensare.
E allora tenderai l’orecchio a quella finestra.
Ed io sarò sempre lì, nella polvere che avvolge tutto e si posa su ogni dove, trasportato come una voce nel vento, a ripeterti sempre il mio monito, a ricordarti la mia storia. Una storia che scuote, che deve colpire ben più forte della violenza.
Una storia come troppe altre.
Una storia per mantenere vivo il ricordo, per avvicinarlo a te, per farti provare davvero, di persona, il dolore lacerante di una lama nel petto, di sogni infranti e di amore svanito. Amore sfregiato e inghiottito dalla brutalità.
Una storia come simbolo. Dolorosa e difficile da ricordare.
Ma chi ha mai detto che ricordare è semplice?
Chi ha mai detto che immaginare te come protagonista, la tua mano serrata sulla mia impugnatura, è semplice?
O vedere una persona a te cara distesa su quel prato, esangue, sfinita. Nulla è semplice.
Cambiare non lo è.
Ma l’indifferenza non è più un’opzione.
Cosa c’è di buono in tutto questo?
Che tu sei qui. Che la vita esiste. Che il potente spettacolo continua, e tu potrai contribuire con un verso.
Quale sarà il tuo verso?
Come contribuirai al cambiamento necessario?
Come farai in modo che nessun orizzonte si sciolga più al pianto di occhi affranti? Come cercherai di far sì che gli incubi non si avverino?
Szock!
Una pugnalata.
Szock!
Secondo colpo: fai presto!
Szock!
Pensa in fretta, agisci. Il tempo è poco.
Szo…
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