Dal 2 al 5 marzo 2019  abbiamo partecipato al Viaggio della Memoria organizzato dall’ANED di Udine assieme a 150 ragazzi di altri istituti superiori di Udine e Tolmezzo.

Dopo la visita ai campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau, noi studenti abbiamo condiviso con gli organizzatori alcune riflessioni sui luoghi che hanno visitato e su questa pagina oscura della storia del Novecento.

Ecco i nostri pensieri.


Davanti alla domanda “Come è potuto accadere?” la riflessione storiografica ci aiuta a  individuare le cause e le dinamiche degli eventi passati e ci offre gli strumenti per inquadrare e comprendere i fenomeni presenti.

Nel Novecento i regimi totalitari ebbero modo di salire al potere anche grazie alla crisi economica del ‘29 e al dissenso che la accompagnò. I dittatori del XX secolo infatti cavalcarono l’ondata di sfiducia del popolo verso le istituzioni, incapaci di gestire la situazione critica in cui si ritrovarono dopo il primo conflitto mondiale. Vedendo quindi nelle figure dei futuri dittatori la promessa di un posto di lavoro sicuro e di una grande e prestigiosa nazione, le persone decisero di appoggiare i loro partiti, cadendo così nella trappola.
Anche oggi chi critica violentemente i propri avversari viene ascoltato più di coloro che invece propongono nuove soluzioni ai problemi, secondo un piano progressivo e non impetuoso, che vuole il cambiamento come necessario.

Hannah Arendt nella Banalità del male descrive così questo fenomeno: “Come spesso avviene nelle polemiche violente e appassionate, gli interessi meschini di certi gruppi, la cui eccitazione è esclusivamente dovuta a motivi concreti e che perciò cercano di travisare i fatti, si sono mischiati ben presto, in maniera inestricabile, ai ragionamenti ispirati di intellettuali che, al contrario, non s’interessano minimamente dei fatti e li considerano soltanto un trampolino per lanciare «idee.»”.

In poche parole, ciò che garantì il “successo” dei regimi totalitari fu la paura. La paura del prossimo come accadde con gli ebrei, gli zingari, gli emarginati… La paura della povertà, di non poter portare a casa il pane per i propri figli… La paura di essere inferiori dopo la sconfitta nella Prima Guerra Mondiale, superata tramite il mito della razza superiore…

L’ansia dovuta a tutte queste paure trovò il proprio antidoto in una nube informe e caotica di menzogne. Una foschia di falsità che portò alla morte di milioni di persone. Nacquero dunque teorie complottistiche che vedevano gli ebrei come i parassiti, i distruttori della civiltà, che volevano conquistare il mondo e che rappresentavano i fautori dei trattati di Versailles e quindi della crisi economica. Si era individuato un vero e proprio capro espiatorio, un gruppo di individui su cui scaricare tutti i propri mali, a cui attribuire la responsabilità di ogni sventura.
Nella realtà odierna, in cui una diffusa percezione di infelicità e di insoddisfazione in molti strati sociali è alla base di atteggiamenti di rifiuto dell’altro, percepito come diverso, inferiore, pericoloso, che sfociano in discorsi e comportamenti aggressivi e violenti, alimentati da una politica dell’odio, abbiamo il dovere di esercitare il nostro spirito critico.   

Per evitare di perdersi nelle menzogne, ognuno di noi dovrebbe scavare più in profondità, non limitandosi alla superficie, alle chiacchiere da bar o ad un’eccessiva fiducia nei social-media, per comprendere cosa sta realmente accadendo dietro a notizie che possono non fornire il quadro completo della situazione.

Si tratta di un lavoro difficile, ma non impossibile.

Basta pensare alla scena di Schindler’s list dove l’imprenditore tedesco vede con i propri occhi le condizioni dei prigionieri nel campo di concentramento Płaszów: proprio in quel momento si rende conto della crudeltà del regime nazista di cui lui fa parte, ma non tace, non rimane con le mani in mano e si adopera per salvare più persone possibili attraverso un ambiguo ma efficace compromesso. Schindler era un tedesco che, andando oltre la sua patria d’origine, è riuscito a salvare più di 1000 ebrei richiedendo che questi lavorassero nella sua fabbrica e trattandoli come persone, senza calpestare la loro dignità e senza disprezzarli.

Durante la preparazione al viaggio ci siamo soffermati sull’importanza di questi gesti di bontà fuori dal coro. Vogliamo ricordare a tal proposito un episodio vicino a noi che ha come protagoniste alcune donne che durante la guerra hanno svolto un ruolo importante, non in prima linea, ma nelle stazioni  dove si fermavano i carri bestiame dentro cui si trovavano i deportati diretti verso i lager; portavano delle ceste con i viveri che avevano a disposizione, acqua o frutta, giacché durante la guerra tutto scarseggiava. Una di queste fermate era proprio ad Artegna, dove alcune ragazze di circa vent’anni, quando sentivano il treno avvicinarsi, andavano in stazione a portare ciò che potevano. Ovviamente venivano allontanate dalle guardie, ma queste donne si sentivano in dovere di continuare, avvicinandosi  comunque alle persone che, all’interno dei vagoni, soffrivano senza possibilità di opporsi: i deportati potevano quindi scorgere un piccolo barlume di speranza o almeno di conforto quando le donne si avvicinavano, e a volte i deportati lanciavano dei bigliettini da consegnare alle rispettive famiglie. Alcune di queste donne conservano ancora oggi i biglietti che non sono riuscite a consegnare.

Vorremmo inoltre parlare della speranza: è risaputo che la condizione dei deportati non fosse sostenibile e che, venendo trattati come oggetti da coloro che li comandavano, essi fossero costantemente spinti a provare sentimenti negativi verso gli altri uomini (a volte anche verso i loro stessi compagni); proprio per questo è ammirevole come gli ebrei e le altre persone discriminate abbiano continuato a sperare, per quanto possibile, nelle loro condizioni, lavorando come gli veniva chiesto, tentando di conoscersi tra loro, resistendo fino allo stremo delle forze; la speranza di sopravvivere, di poter ritornare a una vita normale è stata possibile grazie ai piccoli gesti di umanità in una realtà disumana e disumanizzante.

È quindi necessario che una persona sopravvissuta ad una simile atrocità, per ricominciare a vivere, ritrovi la fiducia dell’umanità e può farlo proprio grazie al ricordo di tutti coloro che hanno fatto del bene: i cosiddetti “giusti” sono quindi coloro che continuano a donare speranza grazie alle opere buone che hanno compiuto.

Nonostante l’imponente ombra negativa che si porta dietro ciò che è successo ai tempi della Germania nazista, non vanno quindi dimenticate le figure positive che si sono fatte avanti in una situazione così spaventosa.

Questi episodi di carità, di compassione, di amore o come ognuno vuole chiamarli, hanno un loro profondo significato, come scrive Hannah Arendt nel suo capolavoro: “Sul piano politico, essi insegnano che sotto il terrore la maggioranza si sottomette, ma “qualcuno no”, così come la soluzione finale insegna che certe cose potevano accadere in quasi tutti i paesi, ma “non accaddero in tutti”. Sul piano umano, insegnano che se una cosa si può ragionevolmente pretendere, questa è che sul nostro pianeta resti un posto ove sia possibile l’umana convivenza.”

di Giuliano Irene (3^F), Bersani Lisa e Dose Giulia (3^DLSA), Conza Jacopo  (4^A), Bergagnini Chiara, Greatti Valentina, Ridolfo Alessandro e Rubiu Leha  (4^I), Scarabelli Tommaso (5^E)