di Sara Dominissini

Chiunque di voi abbia, durante il corso della propria vita, sottovalutato il potenziale demenziale e pedissequo dei talk show sulle reti televisive italiane, non potrà non essersi ricreduto durante questi mesi, che sono stati teatro di dibattiti sulla guerra ucraina; questo poiché tali dibattiti, giorno dopo giorno, crimine di guerra dopo crimine di guerra, sono degenerati sempre di più.
Spesso i salotti televisivi grufolano nella disinformazione più becera, reggendosi su interventi sterili che rasentano il nulla cosmico, volti unicamente ad ingrossare audience, e sulla presenza di ospiti che si destreggiano come trapezisti tra trappole ideologiche e giochetti retorici.
Tuttavia l’arma prediletta dagli intellettuali che abitano questi salotti è la tendenza alla grande generalizzazione pacifista, che si traduce in frasi preconfezionate che non sentivo dai tempi della quinta elementare pronunciati dai miei compagni di classe nel giorno della Memoria.
Oggi, alcune di queste frasi dal gusto panciafichista risuonano come un’eco sgradita nella mia mente: “la guerra è fossile, la pace è rinnovabile”, “la guerra giusta è quella che non si fa”, “guerra più guerra non fa pace”; potrei continuare ad oltranza, ma non ne cito ulteriori per farvi una cortesia.
Questa dittatura del pacifismo ideologico, che condanna i temuti “interventisti”, palesa l’assurdità di quella parte di Paese che, essendo in disaccordo con l’invio di armi per sostenere la resistenza ucraina (come mostrano i sondaggi di EMG) tradisce, a mio avviso, la lunga serie di valori basilari che hanno costituito le fondamenta della nostra democrazia, e che pare vengano riesumati solo in occasione del 25 aprile.

Ma procediamo per gradi, cosa si intende per pacifismo?
Pacifismo è un termine che abbraccia una posizione precisa ed estrema (rifiutando quindi la possibilità di un ampio spettro di diversi approcci) e che si traduce nella condanna alla guerra e all’uso delle armi, in tutte le loro forme.
Presenta delle basi etiche (banalmente la convinzione che la guerra sia immorale e sbagliata) che idealmente quasi tutti noi condividiamo e delle basi pragmatiche; è proprio nell’aspetto pragmatico (cioè ritenere la guerra non efficace) che si inciampa quando si intende discorrere di queste tematiche.
A inciampare sono gli pseudo pacifisti che si rifiutano di mettere in atto un compromesso con l’orrore bellico, confidando che la realtà, per eccezionale ed improvvisa deviazione idealistica, si adegui al loro immacolato schema di solidarietà tra i popoli. Nella narrazione pacifista, qualunque tesi contempli l’invio di armi a chi resiste non trova spazio.
In questa narrazione, chiunque sostenga la necessità di non lasciare l’esercito ucraino soccombere sotto la potenza fratricida dell’immenso armamento russo viene considerato un glorificatore della guerra, figlio della cultura futurista.
A inizio novecento Marinetti (futurista per eccellenza), infatti, animato da un bellicismo appassionato, riteneva che la guerra fosse dotata di un potere “chirurgico” capace di far guarire l’umanità dalle sue parti malate: «Noi vogliamo glorificare la guerra-sola igiene del mondo».
Pescando nella tradizione filosofica più antica, mi viene in mente anche Eraclito, che sosteneva come il conflitto fosse il vero e unico motore della vita e della storia, descrivendo come  il polemos, la guerra intesa come conflitto degli opposti, sia benefica perché strumento di progresso, capace di costruire un mondo condizionato molto più dall’armonia e dall’equilibrio che dall’entropia degli eventi.
Ma davvero considerare necessario un contributo militare per alimentare e tenere viva la resistenza ucraina è sinonimo di un’esaltazione guerrafondaia dei conflitti come strumento per risolvere le controversie geopolitiche della storia?
No e ora illustrerò perché, a parer mio, non lo è neanche lontanamente.
Il problema lampante è la mancata dicotomia tra il pacifismo etico-ideale, che in teoria condividiamo tutti, e il pacifismo pragmatico, che non è altro che uno scudo dietro al quale si nasconde la più becera forma di passivismo.
Condannare il popolo ucraino a una resa tacitiana non è un inno alla pace, ma un inno al martirio.
Analizziamo quindi la tesi pacifista, il cui cuore viene alimentato dal rifiuto del mercato bellico e dalla celebrazione della diplomazia, in nome della minor durata ipotetica del conflitto, che sarebbe destinato ad esaurirsi se dovesse mancare l’approvvigionamento bellico dall’estero per la resistenza dell’Ucraina.

Basti pensare agli anni 90: ci troviamo nell’ex Jugoslavia durante le guerre civili e gli occidentali, sempre nell’ottica del pacifismo, hanno annientato di sanzioni la Bosnia-Erzegovina, che era stata aggredita dalla Serbia, impedendole di rifornirsi delle loro armi, apparentemente per preservare più vite possibili; ciò però spinse i bosniaci ad approvigionarsi attraverso il mercato nero islamico.
Secondo la stessa logica dovremmo cessare di rifornire di armi l’Ucraina, confidando solo nella diplomazia (di cui dopo spiegherò l’irrealizzabilità) e, quindi, lasciare che l’esercito russo avanzi, portando altra distruzione, altri morti, altro sangue sparso… ma questo è il prezzo che i russi stanno già costringendo gli ucraini a pagare per la loro libertà, ed è un prezzo che va inevitabilmente pagato per non soccombere alla dittatura, ed è lo stesso prezzo che hanno pagato prima di noi i nostri bisnonni, i nostri partigiani.
Ma perchè gli interventisti (e questo articolo) ritengono che una prospettiva diplomatica, oggi, sia irrealizzabile?
Dal 26 febbraio sono stati intavolati dei negoziati per coordinare dei “cessate il fuoco” e mentre gli ucraini incaricavano ministri e personalità di alto livello (come Reznikov, il Ministro della Difesa o Podolyak, alto consigliere di Zelensky), la Russia ha sempre schierato personalità di terzo livello (ovvero persone lontane dalla rosa magica di Putin, come l’ex ministro della cultura Vladimir Medinskij), segnale del totale disinteresse di Putin verso una possibile negoziazione diplomatica.
Anche se già la mostruosa repressione e i massacri del popolo civile ucraino suggerivano da mesi come la Russia ad oggi abbia solo una volontà: annientare e conquistare, di certo non negoziare.
Ma è possibile escludere che nel prossimo futuro ci siano delle risoluzioni diplomatiche? No, ma ci sono delle condizioni ben precise per rendere tutte queste speranze realtà.
I negoziati si strutturano sui rapporti di forza, quindi se nel futuro l’Ucraina potrà sedersi al tavolo delle trattative e proporre una proposta diplomatica seria, sarà soltanto perché dall’inizio della guerra l’esercito ucraino non lascia trionfare quello russo, mettendo in atto una forma di resistenza straordinaria e inaspettata, resistenza resa possibile anche grazie alle armi occidentali.
L’unico modo per riequilibrare i rapporti di forza, consentendo quindi una prosecuzione di stampo diplomatico per terminare questa guerra, è non lasciare l’Ucraina in balia della distruttività russa, inviando armi.
Inviare armi, infatti, è il sanguinoso prezzo da pagare per non vedere un paese democratico raso al suolo, per non far subire a una popolazione priva di colpa e inerme un processo di russificazione feroce, lasciandogli come unica libertà quella di conservare la memoria di ciò che erano e non saranno più.
Chiaro è che la guerra non conviene per definizione, specialmente a un paese come il nostro, perché il mercato russo è un partner economico determinante, per le importazioni di gas, di petrolio e di grano e perché il contraccolpo di questo conflitto lo vivremo indipendentemente dal nostro intervento o meno, perchè tutto confluirà a ingrossare la spirale inflazionistica.
Quindi, spogliamo i discorsi di moralismo e finti ideali pacifisti, perché la non volontà di contribuire attivamente al conflitto è un mero discorso di interessi nazionali.
Non posso pensare che la nostra priorità sia esportare la burrata agli amici russi, garantirci l’aria condizionata in vista dell’estate (come ci ha fatto notare lo stesso Draghi) e non il diritto di un altro paese alla libertà.
Breve precisazione: potrà capitare che sentiate qualcuno manifestare il suo timore verso un possibile allargamento del conflitto se i paesi europei intervenissero concretamente, ma questa possibilità, a mio avviso, è decisamente remota.
Questo perché, come ci insegna il politologo francese Jean-Baptiste Jeangène Vilmer (e lo stesso Alessandro Orsini, che da quando è stato “censurato” domina ogni salotto televisivo) una grande potenza che, per espandersi a livello internazionale, necessita dell’ allinearsi di 3 fattori: demografia, economia ed esercito.
Una crescita demografica, infatti, consente un grande mercato, che, a sua volta, permette il mantenimento di un costoso, avanzato ed esteso esercito; tutte condizioni che la Russia contemporanea, in calo demografico e con l’economia in declino, non vedrà mai allinearsi. Quindi, neanche volendo, la Russia potrà espandersi ricostruendo l’impero di un tempo, secondo quello che dicono essere il progetto di Putin, senza contare che ora con l’Ucraina in fiamme non avrebbe le spalle coperte, quindi sarebbe irrealizzabile anche un banale avanzamento territoriale.

In conclusione l’unica cosa che ritengo necessaria da ricordare è che se io ho il diritto e il potere di scrivere questo articolo, a prescindere dall’opinione che esprimo, condivisibile o meno, è perchè abito in un paese democratico, dove la generazione dei miei bisnonni ha strenuamente combattuto per assicurarmi tutti i miei diritti.
Questo Paese è costruito su valori fondamentali come lo stato di diritto e la libertà, una libertà pagata con fiumi di sangue. Per questo, quando un paese straniero democratico, con cui tra l’altro abbiamo dei soliti rapporti, viene attaccato da una potenza semi dittatoriale, che ha valori completamente opposti a quelli che abbiamo o dovremmo sostenere noi oggi, a mio parere, non lo possiamo minimamente lasciare da solo.
Questo non significa imporre a un paese di difendersi o armare bande generiche di criminali, significa dare delle armi a un popolo (il cui governo è democraticamente eletto) che attualmente sta resistendo contro un’invasione priva di ragione storica.
Inviare il nostro aiuto tramite le armi è l’unica vera scelta, se non vogliamo vedere tutto il popolo ucraino spazzato via come una coltre di sabbia.

Chi siamo noi per permetterci di dire che serve solo una “proposta diplomatica seria”, chi siamo noi per dirlo quando la cosa che più cara abbiamo, la nostra libertà, la possediamo grazie a un prezzo pagato da altri un sacco di anni fa? Un prezzo orrendo, che con il tempo sembra sbiadirsi nella nostra memoria.  Se non mettiamo mai in discussione i nostri privilegi è perché non siamo mai stati costretti ad imbracciare un fucile, non siamo mai stati rifugiati, non conosciamo l’orrore del vedere tutta la propria vita saltare in aria con un missile straniero.
Abitiamo da così tanto tempo questo stato di libertà che lo diamo per scontato, perché non abbiamo mai pagato neanche un’oncia di questa libertà, non abbiamo dovuto versare nemmeno una goccia del nostro sangue.
Quindi smettiamola di scendere in piazza a festeggiare la giornata della Liberazione, se poi, accendendo la tv, ci limitiamo ad assorbire informazioni sulla guerra passivamente, continuando a sostenere che la resistenza ucraina non vada alimentata con le nostre armi.
Se fossimo noi il paese invaso? Distrutto? Raso al suolo? Che effetto vi farebbe sentire gente sui propri divani che (s)parla di pacifismo?

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