di Beatrice Ciancarella

Il 17 novembre scorso, alle 03:37 è deceduto il mafioso Totò Riina

Il corleonese è morto all’età di 87 anni nel reparto detenuti dell’Ospedale Maggiore di Parma.

Salvatore (Totò) Riina, infatti, negli anni 70 da Corleone iniziò la conquista dei vertici di Cosa Nostra, divenendone il capo assoluto sino ad oggi.

Fu riconosciuto responsabile di innumerevoli crimini, tra cui le stragi del 1992 in cui persero la vita i magistrati Falcone e Borsellino. Venne condannato a 26 ergastoli e, solo dopo 24 anni di latitanza, arrestato a Palermo il 15 gennaio 1993; gli fu imposto il regime 41-bis, ovvero il carcere duro.

Riina non ha mai mostrato pentimento per le violenze da lui commesse né, in 24 anni di carcere, ha mai collaborato con la giustizia; al contrario, anche  durante la reclusione ha continuato a gestire la mafia siciliana da boss indiscusso. Per queste ragioni, a luglio di quest’anno, non gli furono concessi i domiciliari richiesti dai suoi legali all’aggravarsi delle sue condizioni di salute. L’evento aveva suscitato sdegno in tutto il Paese, ma altrettante polemiche sono sorte in relazione ai suoi funerali. Funerali, matrimoni, processioni, altre messe speciali: la storia si ripete per ogni celebrazione in cui sono presenti famiglie mafiose. Chi difende il loro diritto a partecipare a eventi pubblici o celebrare i loro eventi privati e chi ritiene vergognoso offrire a tali individui un’ulteriore possibilità di affermare il loro potere. Questa volta però si è prevenuto un simile evento; don Ivan Maffeis, portavoce della Conferenza episcopale italiana, ha affermato: “Un funerale pubblico non è pensabile” e monsignor Michele Pennis, arcivescovo di Monreale, ha addirittura ritenuto che, trattandosi di un pubblico peccatore, non ci sarebbero dovuti essere funerali in chiesa né pubblici né privati, ma al massimo una preghiera al cimitero per i famigliari. Quindi, nessuna pietà e men che meno lacrima, ad eccezione di quelle dei suoi famigliari, nei confronti di Totò Riina.

La questione è perciò la seguente: sono anche i mafiosi esseri umani, col diritto di essere perdonati e di essere pianti, o sono solo e unicamente dei mostri da disprezzare? “Non gioisco, ma non perdono” afferma Maria Falcone; Pietro Grasso dice “La pietà non fa dimenticare il sangue versato” e in innumerevoli altre parole non si riesce a concepire un criminale come Riina un uomo. È logico non amare chi non ama, anzi pratica la violenza e senza mai redimersi, ed è difficile considerare uomo un individuo privo di umanità. Molti ritengono che l’umanità sia proprio ciò che ci rende umani e non selvaggi animali; che è insito nell’essere umano aiutare il prossimo, non vivere del dolore altrui; che non odiamo perché solo l’innaturale odia. Ma l’innaturale non odia forse proprio perché non è amato? È possibile che l’innaturale, il mostro, sia tale proprio perché ha bisogno di aiuto, di amore?