di Tommaso Scarabelli
In vista del viaggio in Sicilia nell’ambito del progetto “Sulle orme della legalità”, venerdì 21 aprile gli studenti delle classi 3^A e 3^E hanno avuto l’occasione di incontrare Antonio Cioccoloni, luogotenente dell’Arma dei carabinieri di Cividale, uomo di scorta a Palermo per sette anni e successivamente impegnato nel settore dei collaboratori di giustizia.
Cioccoloni ha scelto di essere carabiniere per “tradizione di famiglia”. A 21 anni, dopo due anni di formazione militare, si è trasferito a Palermo, dove nel 1987 è stato carabiniere nel quartiere con la più alta densità mafiosa in qualità di caposcorta. Come lui stesso ha detto, anche dopo anni di formazione non si è preparati a una realtà di sacrificio, di decisioni. Essere un caposcorta infatti significa sacrificare la propria gioventù, poiché non si può parlare di ciò che si fa con gli altri, bisogna stare attenti ad ogni cosa per il proprio bene e soprattutto per quello della persona che si è chiamati a proteggere.
Negli anni Novanta Cosa Nostra controllava ogni cosa nel mondo della mafia. Aveva occhi e orecchie ovunque, spadroneggiava a Palermo e dintorni.
Purtroppo mancavano disposizioni legislative specifiche che “punissero” questa organizzazione e i carabinieri potevano fare solo quello che era previsto per legge.
La mafia, come ha ricordato il carabiniere, è nata nell’entroterra siciliano intorno all’800. I baroni e i marchesi che abitavano l’isola cercavano di proteggere il bene più importante: i limoni. Per farlo dovevano reclutare persone che facessero la guardia alle coltivazioni ed è così che si pensa sia nata la mafia, anche se esistono altre ipotesi.
Cosa Nostra invece è nata dal clan dei corleonesi, un gruppo di criminali mafiosi che prende il nome da Corleone, una città situata a qualche chilometro da Palermo che tutt’oggi viene considerata un santuario dal popolo mafioso. La mafia è una sorta di religione, ha una propria simbologia, viene vista come una cupola al cui interno vi sono un capo e undici apostoli.
Parlando della sua esperienza Cioccoloni ha raccontato come il capo del clan dei corleonesi, Totò Riina, conquistò Palermo nel giro di qualche anno con l’aggressività e la cattiveria. Egli fece ammazzare “i soldatini” (giovani arruolati dai clan) della mafia palermitana, dando quindi un messaggio ai grandi boss, e insinuò tradimenti all’interno delle organizzazioni criminali, provocando disarticolazioni e squilibri.
A differenza di Cosa nostra, la vecchia mafia palermitana non era mai arrivata a utilizzare metodi tanto violenti come gli esplosivi: non aveva mai compiuto stragi, mentre Totò Riina ricorse anche a questi mezzi criminali.
Fino agli anni Novanta la mafia si era servita soprattutto del pizzo, la tangente che viene ritirata regolarmente in cambio di una presunta protezione di ogni attività, di ogni negozio (non a caso il termine deriva dalla parola becco, intendendo l’atto di beccare nel piatto altrui)
Tommaso Buscetta, uno degli apostoli, non aderì a questa “nuova mafia” e fuggì in Brasile durante quella che venne chiamata “seconda guerra mafiosa”. Secondo lui la “prima mafia” aveva comunque dei principi basati sul rispetto: di questi principi i corleonesi fecero tabula rasa. Così quando il magistrato Giovanni Falcone lo convinse a collaborare con le forze dell’ordine, fu come aprire il vaso di Pandora. Buscetta spiegò l’articolazione della struttura mafiosa: vi erano state delle indagini ma non avevano portato ad alcun risultato. Venne alla luce una mafia diffusasi in maniera capillare su tutto il territorio: per questo Paolo Borsellino, caro amico, quasi fratello, di Falcone, sostenne la promulgazione di leggi più forti contro la mafia.
Purtroppo Falcone, che fu anche amico di Cioccoloni, fu ucciso il 23 maggio 1992 nella strage di Capaci. Il carabiniere ha descritto il luogo dell’attentato come un campo di guerra.
L’albero di Falcone, situato di fronte l’ingresso del suo appartamento, a Palermo.
La sua morte segnò l’avvio del conto alla rovescia anche per Paolo Borsellino, con cui aveva intrapreso questo pericoloso viaggio contro la mafia.
Infatti neppure tre mesi dopo, il 19 luglio 1992, Paolo Borsellino morì in un attentato mentre cercava di andare a fare visita a sua madre una domenica pomeriggio: era stata richiesta una zona di rimozione in modo che non ci fossero auto al momento del suo arrivo, ma stranamente la richiesta non fu rispettata e fra tutte quelle macchine vi era una bomba. Anche l’agenda rossa di Borsellino, con possibili contenuti per incriminare alcuni mafiosi, scomparve e il caso rimane ancora oggi avvolto nel mistero.
Dopo questi attentati Totò Riina è stato arrestato e messo in carcere, dove ancora si trova, sotto un regime 41 bis di massima sicurezza. Non ha mai confessato i suoi crimini poiché confessare significherebbe ammettere l’esistenza della mafia. Come scrisse Leonardo Sciascia, il mafioso afferma che la mafia non esiste, che è un’invenzione dei giornali.
In conclusione Cioccoloni ha illustrato lo scenario in cui si muove la mafia ai giorni odierni: i vecchi mafiosi o sono stati ammazzati dalla nuova mafia o si sono pentiti (hanno ottenuto degli sconti di pena ma le loro famiglie sono state sterminate) oppure sono usciti dal carcere e tornando dopo tanti anni nel loro quartiere, hanno trovato i loro “piccoli soldatini” cresciuti e diventati i nuovi boss.
Ed ecco che i vecchi cedono un po’ del proprio orgoglio e i giovani accettano di imparare dai più anziani. Così l’organizzazione mafiosa continua la sua storia.
Oggi Cosa Nostra è un’organizzazione forte, ma non spara, non si fa notare: se sparasse diventerebbe debole. Gli interessi della mafia si consolidano grazie alle aziende in crisi di tutta Italia costrette a chiedere prestiti anche all’organizzazione mafiosa.
Per questo ogni volta che stiamo zitti è uno sparo che va a segno.
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