di Sara Candussio
È arrivato (finalmente) quel periodo dell’anno in cui, finite tutte le verifiche, iniziamo ad ascoltare a ripetizione canzoni di Natale o a fare biscotti.
Stereotipi a parte, il Natale coinvolge tutti, anche chi non lo ama.
Paradossalmente accanto a Babbo Natale la star indiscussa di questo periodo è il Grinch.
In inglese questa parola serve ad indicare una persona scontenta di ogni festività, in primis del Natale, nello specifico un vero e proprio “guastafeste”, che si oppone con convinzione all’alone di magia che lo circonda.
A partire da questa suggestione il Dr. Seuss scrisse nel 1957 un racconto in rima con illustrazioni (How the Grinch stole Christmas!) che narra la storia di un acido personaggio verde, peloso e solitario, che odiava il Natale.
Dotato di un cuore due volte più piccolo del normale, odiava i cittadini che vivevano sotto alla montagna che gli faceva da casa: i Chi.
Il suo disprezzo nasceva da un rifiuto crudele da parte di questi umani disumani che, quando era piccolo, l’avevano schernito per il suo aspetto e avevano rifiutato il regalo che si era impegnato a fare per una ragazzina che gli piaceva.
Ferito, si era ritirato sulla montagna da cui alimentava la sua rabbia nata dall’esclusione imposta.
Un giorno una piccola bambina della città si era accorta della vanità della corsa al regalo più bello o della competizione di sua madre con la vicina per le decorazioni migliori.
Così piccola, una volta incontrato il Grinch, aveva deciso che in fondo a quel pelo verde un cuore c’era, quindi che il suo “amico” doveva per forza essere buono.
Trattata con sufficienza dagli adulti per questi suoi tentativi di inclusione, fallì nei suoi propositi di urlare la verità sul Natale.
A quel punto il Grinch, decisosi finalmente a distruggere quella festa che gli aveva solo procurato dolore, durante la notte rubò tutti i regali e spogliò la città di ogni simbolo del Natale.
Fu attorno a questa tristezza che gli abitanti si raggrupparono a cantare per far rinascere quello spirito natalizio che avevano perso e che aveva ridotto loro a quella situazione. Allo stesso tempo anche il Grinch venne costretto a vedersi scongelare quel cuore così piccolo, che tornò a crescere salvando all’ultimo tutti i regali e le decorazioni che stavano per cadere dalla montagna su un’enorme ridicola slitta.
Una semplice storiella, forse anche qualificabile come inutilmente moralistica o addirittura banale, nasconde in sé una critica amara alla tradizione natalizia che i più cinici tra noi potrebbero classificare come “consumismo”.
Quello che il Dr. Seuss vuole ancora oggi rimproverare bonariamente è il troppo frequente dimenticarsi che la dimensione del “dono” tipica del Natale è qualcosa di più metaforico che fisico.
Al termine del racconto, il Grinch viene accolto da tutti e accogli a sua volta tutti in casa propria, in un gesto di gentilezza che lo rende irriconoscibile rispetto all’inizio della storia.
Il dono messo sotto i riflettori dall’autore è la dimensione dell’accoglienza e di un’universalitá di gioia e condivisione che non si caratterizza in un tipico “a lui non faccio il regalo”, ma che riguarda più una predisposizione dell’animo.
Non è un caso che la chiave di volta del racconto sia il momento di un canto comunitario: l’unione di diverse voci in una melodia conosciuta da sempre non presuppone particolari doti tecniche, anzi ci abbraccia in un unico brivido (di freddo e di emozione) che è l’essenza stessa del Natale.
Anche senza il perdono di tutti i vecchi rancori, il Dr. Seuss spinge a cedere, almeno per un periodo dell’anno (il suo carattere di festività lo rende per definizione particolare e non quotidiano) alle ottiche di esclusione in cui spesso cadiamo durante l’anno, come è umano che sia.
Quindi bisogna condannare i regali materiali?
Assolutamente no!
La dimensione del dono esiste nella nostra cultura sin dai Saturnali romani (dal 17 al 23 dicembre), in cui venivano scambiati piccoli regali, detti “strenne”. L’ordine sociale veniva sovvertito, e anche gli schiavi venivano considerati uomini liberi e potevano comportarsi di conseguenza.
Bisogna ringraziare i romani per l’immensa mole di tradizioni che ci hanno lasciato in eredità, che si sono mescolate con i secoli alle festività cristiane, anch’esse parte della nostra cultura.
Se c’è un punto di contatto tra queste due visioni, è sicuramente la connotazione inclusiva e sociale del Natale.
In questo senso è possibile dire che il Grinch abbia salvato il Natale, ovvero che ci abbia ricordato che, sí, ricevere regali è sicuramente uno dei tratti più belli di dicembre, ma che per una volta in tutto l’anno possiamo provare anche a “donarci” agli altri.
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