di Anna Carraro
Il territorio dei Balcani per un lungo periodo poteva essere definito, usando un termine inglese, una “salad bowl”, cioè una società multiculturale che riesce a inglobare diverse culture mantenendo comunque le loro identità separate. Musulmani, cristiani cattolici e ortodossi sono riusciti a convivere nello stesso territorio per decenni sotto il regime di Tito. Sebbene non possa essere considerato un angelo, viene ancora amato da molti cittadini di questi Paesi, proprio perché il suo nome viene collegato agli ultimi anni di pace, prima dell’inizio della guerra degli anni ‘90 che colpì gli stati della ex Jugoslavia. Tito morì il 4 maggio del 1980 e, a causa dell’assenza di un leader capace di mantenere il popolo unito, iniziò una crisi politica ed economica in tutta la zona e si diffusero forti sentimenti nazionalistici. Basti pensare che Milošević, presidente della Serbia dal 1989 al 1997, per sollecitare l’egemonia del popolo serbo sulle altre etnie, iniziò a considerare “Serbia” qualsiasi territorio in cui ci fosse un serbo. I presidenti degli altri stati (Bosnia Erzegovina, Slovenia, Croazia, Montenegro e Macedonia) iniziarono quindi a diffondere il “terrore del nemico” nel proprio popolo, e in un territorio multietnico come quello dei Balcani ciò significava iniziare ad odiare di punto in bianco il proprio vicino di casa, il proprio compagno di scuola o la propria fidanzata.
Si può ben dedurre che una guerra fratricida era inevitabile: si parla addirittura di una “pulizia etnica” dei Bosniaci, della quale vengono stimate centomila vittime. Di questi, circa quarantamila erano civili.
Io e la mia classe abbiamo avuto la fortuna di girare per le strade di Novi Sad, Sarajevo e Mostar, guardare coi nostri occhi innumerevoli lapidi nel mezzo della città, palazzi ancora distrutti dalla guerra, i segni che le granate hanno lasciato sull’asfalto e, soprattutto, abbiamo avuto il privilegio di parlare con alcune persone che hanno vissuto questa guerra sulla propria pelle.

Il fumettista Saša Rakezić è uno di loro ed è riuscito a salvare la propria mente dagli attacchi nazionalisti grazie alla propria creatività: il suo nome d’arte è “Zograf”. Egli stesso ci ha raccontato quanto sia stato difficile riuscire a resistere in quella realtà, e al tempo stesso quanto gli sia stato utile il proprio lavoro per superare i momenti di difficoltà. Per questo decise di rappresentare e descrivere le sue visioni, un piccolo uomo immerso in un complotto così complesso. Con “Il quaderno di Radoslav”, pubblicato nel 2021, Zograf descrive la Seconda guerra mondiale attraverso gli occhi di persone comuni, proprio come lo era lui durante la guerra dei Balcani. Ma perchè proprio la Seconda guerra mondiale? Zograf ci ha confidato una sua riflessione: sono passati molti anni prima che le persone in Europa si rendessero conto di quello che hanno passato durante questa guerra e servono altrettanti anni per avere un quadro abbastanza completo su quello che è accaduto realmente; il problema è che l’errore è stato ripetuto subito dopo. Quello degli anni ‘90 è stato il genocidio che ha contato più vittime in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale. Allora cosa abbiamo imparato? Zograf, proprio per non dimenticare e lasciare un segno sulla carta, decide di narrare questi avvenimenti coi fumetti, ritraendo un’Europa che bombarda sè stessa per l’ennesima volta.
In ogni incontro a cui io e la mia classe abbiamo assistito era evidente il desiderio delle persone comuni di tornare alla normalità e di scacciare l’odio dalle proprie strade. Boulevard Jovan Jovanovic Zmaj rispecchia pienamente questa volontà: la strada si trova nel centro della città di Novi Sad e il suo nome venne modificato a ogni cambio di regime, fino a quando decisero di chiamarla col nome del poeta. In Serbia è conosciuto da tutti grazie alle sue poesie per bambini, cantate in ogni scuola e in ogni famiglia.
Appena la guida finì di raccontare questo episodio, un nostro professore lì presente commentò “e ancora una volta la poesia vince sulla guerra”: è come se la popolazione serba abbia cercato di riportare le risate dei bambini in una strada in cui fino a pochi anni prima si sentivano solamente i rumori degli spari.

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