di Lorenzo Michelloni e Ilaria Bidut, 3Dlsa

Le classi 3Dlsa e 1I hanno avuto il privilegio di incontrare e fare alcune domande sul tema molto attuale delle immigrazioni alla giornalista triestina, ormai naturalizzata siciliana, Giada Drocker.

La reporter, che attualmente lavora per l’AGI (agenzia di stampa italiana), ha deciso di intraprendere questa carriera spinta dalla curiosità, dalla voglia di scoprire sempre cose nuove e di poter raccontare la vita di qualcun altro che non ne ha le possibilità, come ci ha spiegato durante l’incontro.

Sicuramente il suo non è un lavoro facile: dal punto di vista pratico perché spesso gli sbarchi avvengono in orari notturni o sono spesso necessari spostamenti lunghi per assistere a udienze in tribunali, e dal punto di vista umano per il vissuto delle persone che incontra.

Proprio su questo si sono soffermate le nostre domande, in quanto spesso si pensa ai giornalisti come “macchine” che producono notizie, sottovalutando tutta la parte personale relativa all’assistere a scene che, come riportato dalla Drocker, l’hanno segnata per sempre.

“Tutti gli sbarchi sono diversi”- afferma la giornalista – sottolineando ripetutamente che, la scena che sembra ripetersi identica ogni volta, ha invece sempre sfumature o dettagli diversi: possono essere sbarchi nei quali scendono dalle imbarcazioni uomini e donne stremati fisicamente e psicologicamente, spesso reduci da un ribaltamento in mare durante il quale hanno visto il proprio figlio o coniuge morire, o sbarchi relativamente comodi in seguito a un recupero in mare senza tragedie.

Dopo lo sbarco vengono ascoltate a campione delle testimonianze per capire da dove provengono i migranti, i motivi per cui sono partiti e come si è svolto il viaggio; in alcuni casi iniziano delle attività di indagine per identificare gli scafisti e, finite le indagini della polizia, i migranti vengono messi in isolamento anti COVID-19 al termine del quale vengono portati in centri di seconda accoglienza o rimpatriati.

Spesso si generalizza quando si parla di migranti e della loro provenienza ma, nella realtà dei fatti, in uno sbarco si possono trovare persone di diverse nazionalità: la maggioranza proviene dall’Africa subsahariana e, purtroppo, spesso sono proprio loro che arrivano nelle condizioni peggiori, in quanto il loro viaggio passa per tutto il deserto per arrivare in centri di detenzione dove vengono torturati fino al loro rilascio. Stesso percorso nei centri di detenzione tocca ai migranti etiopi e somali, che prima di intraprendere il “viaggio della speranza” che li porta in Italia, vengono anch’essi incarcerati e liberati solo dopo il pagamento ai trafficanti con grandi somme di denaro.

Ci è venuto spontaneo chiederle se abbia mantenuto nel corso del tempo alcuni rapporti con i migranti ma, comprensibilmente, la reporter afferma che è molto difficile mantenere un contatto, sia per un limite linguistico e tecnico, in quanto dopo un certo periodo vengono trasferiti dall’hotspot di arrivo, ma soprattutto per un limite emotivo, mentre rimane sempre in contatto con il personale che partecipa agli sbarchi.

Dall’incontro è emerso come negli ultimi anni i migranti intraprendano con meno paura il viaggio verso l’Italia e arrivino negli hotspot con gioia e speranza, grazie agli accordi che obbligano le guardie costiere a salvarli. L’unica paura che rimane è quella di avere la possibilità di essere riportati nei POS (place of safety) che tanto safety non sono…

Questa opportunità ci ha consentito di avere uno sguardo più completo sul mondo dell’emigrazione grazie alla sua testimonianza diretta e ci ha consentito di toccare un aspetto umano che molto spesso non trapela attraverso i  telegiornali.

Vogliamo ringraziare nuovamente Giada Drocker per questa occasione, sperando un giorno di poterla conoscere di persona.