Ho sempre vissuto il mio “fare teatro” come l’opportunità di esprimere me stessa, anche se tramite la finzione. Questo mi ha permesso di capire chi sono o perlomeno chi e che cosa voglio che appartenga alla mia realtà. I momenti, però, in cui l’insicurezza di sé blocca ogni individuo colgono anche i migliori tra i teatranti o almeno quelle personalità che ti sembrano così forti da non poter essere abbattute.
Quando mi hanno parlato per la prima volta del progetto “non-scuola” al quale avrei potuto partecipare, mi sono detta: “Se sei da sola, non ci vai. Pensa che imbarazzo quando tutti saranno a parlare e tu da sola, in un angolo a girarti i pollici!”. Una settimana dopo ho scoperto che nessuno dei miei amici voleva iscriversi a questa attività perché non era ovviamente il momento adatto di svolgere due ore di laboratorio ogni giorno, per due settimane, a fine quadrimestre.
A questo io però non ho dato la minima importanza quando ho deciso di partecipare, anche se non avrei voluto farlo solo per il semplice fatto di essere da sola: se per me il teatro è una scelta di vita, non dovevo limitarmi per paura di buttarmi in questa esperienza e questa si è rivelata un’ azzeccatissima decisione.
Il primo giorno di laboratorio mi è stata raccontata la storia di questo magnifico progetto e della compagnia ideatrice, il Teatro delle Albe di Ravenna. Nata nel 1983, questa compagnia ha creato un progetto volto ad aiutare i ragazzi dei licei di Ravenna a trovare un contesto nel quale potersi esprimere al meglio, senza schemi né regole, e non allo scopo di insegnare a recitare perché il teatro non si insegna. Queste sono state le premesse con le quali il teatrante Alessandro Renda ci ha accolti e da ciò sono rimasta affascinata: insieme a lui e ai miei compagni ho conosciuto un teatro diverso da quello a cui ero abituata, un teatro basato sull’improvvisazione, sulla costruzione e l’attuazione di un’idea comune a venti ragazzi provenienti da scuole completamente diverse tra loro, che si può riassumere in una sola frase: “stesso palio, teatri diversi”.
Ciò che, però, mi ha fatto maggiormente crescere è stato decidere di buttarmi in una situazione in cui ero certa che non mi sarei trovata a mio agio, per esprimere quella che sono e poi aspettare di essere amata o odiata. Quando mi sono accorta di aver creato delle bellissime amicizie all’interno del gruppo, ho avuto una soddisfazione tale da soffrire quando, al termine dello spettacolo “Timone d’Atene” che insieme abbiamo preparato in quelle due settimane e messo poi in scena, ho dovuto salutare i miei nuovi amici.
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